di Enrico Casagrande
L’Indian National Congress e l’élite culturale indiana a fine ‘800
L’”Indian National Congress” è il movimento politico che assume storicamente un ruolo determinante nell’ottenimento dell’indipendenza dell’India dal giogo dell’impero britannico. Nato nel 1885, il Congresso trova tra i suoi primi rappresentati intellettuali, avvocati e colti proprietari terrieri provenienti soprattutto da Bombay e da Calcutta. Quest’ultima, capitale indiana al tempo del Raj, sta vivendo il fecondo periodo del “Rinascimento Bengalese” nel quale l’élite culturale locale viene formata in istituzioni educative sia britanniche che indiane d’impronta illuministica. Tra essi alcuni tra i più noti riformatori dell’induismo come Raj Ram Mohan Roy e la famiglia Tagore alle cui iniziative si ispireranno alcuni tra i padri della moderna spiritualità indiana che fungerà da fondamento allo yoga transculturale moderno, Vivekananda e Aurobindo per primi. La stessa élite collabora con i colonizzatori, almeno in un primo periodo, nella gestione della colonia. Un profondo processo di acculturazione era stato lungamente imposto. Le categorie del pensiero istituzionale europeo avevano fatto breccia nella vita dell’indiano più colto allontanandolo in parte dalla tradizione. Al contempo ciò lo attrezzava per poter entrare nell’agone giuridico del common low1 disponendo dei necessari strumenti.2
I timori dell’Impero
L’episodio della rivolta dei sepoy risalente al 1857, che porta alla formale sostituzione del Parlamento imperiale alla Compagnia, evidenzia la disaffezione del mondo indiano dai britannici. Questi ultimi, avvertono un sempre maggior senso di fragilità del loro potere temendo il ripetersi della rivolta con esiti fatali per la stessa sopravvivenza dell’impero. I dominatori, mossi da detti timori più che da una visione politica matura, dopo quasi trecento anni di presenza in terra d’India, si profondono in un susseguirsi di provvedimenti legislativi marcatamente miopi e autoritari. Nuove ed insostenibili tasse sono fatte applicare, tra esse quella del sale, quella sullo scavo di nuovi pozzi e quella delle affittanze dei terreni coltivabili. Negli anni ’60 e ’70 del XIX secolo detti inasprimenti fiscali portano i locali a drammatiche condizioni di indigenza alle quali si associano una crisi alimentare che conduce ad epidemie di colera e di vaiolo. Di fronte alla strage degli indigenti – in Orissa muore il 25% della popolazione – i governatori britannici che vedono calare notevolmente i loro introiti decidono di alzare fino al 300% il prezzo del grano. Il malcontento indiano è inevitabilmente giunto ad un livello senza precedenti. Ciononostante, il Parlamento inglese, sostituitosi da poco alla Compagnia non dimostra di voler mettere in atto misure di sostegno per le genti del Raj, le cose proseguono nella direzione qui vista. Il malcontento piuttosto che essere ascoltato viene inasprito. È del 1878 il “Vernacular Press Act”, promosso sotto il governo del viceré Lord Lytton, che proibisce la scrittura e la stampa nelle lingue del subcontinente. Il tema della stampa nelle lingue vernacolari era invero, fin da dopo il mutiny del 1857, motivo di preoccupazione per i britannici che vedevano nella carta stampata indiana una seria possibilità di diffusione di idee sediziose (B. Belmekki, The Formation of the Indian National Congress: a British manouvre? Accademia.edu, p.33).
Il cammino verso la fondazione dell’Indian National Congress
I timori del Raj di vedersi sottratto il controllo del “Gioiello della Corona”, appellativo dell’India in voga al tempo, è più che fondato. Le misure adottate a favore del benessere dei suoi sudditi sono minime e inefficienti al netto di una legislazione interessata esclusivamente agli introiti inglesi. Un episodio di tutto rilievo in questa complessa configurazione socio – economica è quello dell’”Ilbert Bill” del 1883. Sir Courtney Ilbert (1841 – 1924), consulente legale del viceré Lord Ripon (1827 – 1909), elabora nel 1883 una proposta di legge volta a permettere ai giudici di origine indiana di processare gli europei per crimini di qualsivoglia natura commessi nel subcontinente. La comunità europea risponde alla proposta con una tale aggressività che l’”Ilbert Bill” non diverrà mai legge. Il pregiudizio razziale verso le genti indiane pare talmente radicato che i sudditi di Sua Maestà non sono in grado di fare altro che immaginare possibile un permanente controllo dell’India attraverso l’uso della forza. Gli indiani informati della fallita proposta di legge provano una timida reazione che viene immediatamente bloccata per il motivo che, a detta degli europei ivi residenti, la questione riguarda esclusivamente il rapporto tra questi ultimi ed il viceré. Per quanto possa apparire surreale una simile gestione dell’intero affare “Ilbert”, è evidente come al di là di un’eventuale risposta di carattere violento, come quella del 1857, la situazione si trova in uno stallo politico e sociale che scaturisce anche da parte indiana. La totale mancanza di un’organizzazione politica composta da indiani e capillarmente diffusa per tutto il paese che possa curare legittimamente gli interessi della sua popolazione è ormai più che evidente. È in questo clima che nel 1885 nasce l’”Indian National Congress”, il movimento politico che sappiamo condurrà quasi sessant’anni dopo l’India all’indipendenza dal Raj.
La mancanza di una piattaforma politica in grado di dare voce alle più autentiche istanze del popolo indiano è una questione che è già stata avvertita da alcuni leader di gruppi politici che si organizzano nel decennio precedente la nascita del Congress. Tra questi, l”Indian League” nata a Calcutta nel 1875 per opera del giornalista Sisir Kumar Ghosh (1840–1911) con lo scopo di infondere tra le genti un senso di unità nazionale. Con analoghi propositi va ricordata l’”Indian Association” fondata nel 1876 da Surendranath Banerjee (1848 – 1925) un liberale originario di Calcutta noto come “L’insegnante della Nazione” per il lavoro profuso, anche in questo caso, nel promuovere quella consapevolezza nazionale non ancora sufficientemente maturata tra le genti dell’India. La novità storica portata da tali organizzazioni è quella di operare mantenendosi al di sopra di limitati interessi regionali per guardare il subcontinente nel suo vasto insieme. Va detto che tra le fila di tali gruppi si trova un’assai limitata partecipazione di musulmani. L’atteggiamento di questi ultimi, che alla fine contribuiranno ampiamente alla causa della libertà indiana, è generalmente più prudente verso gli inglesi. Ciò può essere spiegato col fatto che il territorio indiano è a larga maggioranza hindÅ« e l’autonomia se non addirittura la piena indipendenza dagli europei viene percepita dal mondo musulmano come uno strapotere della cultura originaria del subcontinente. Si tratta quindi, per questi ultimi di un’alternativa non troppo suggestiva. Questa è la ragione che motiva la nascita nel 1906, cioè l’anno successivo alla prima partizione del Bengala, della “All-India Muslim League” che chiede, sin dai suoi albori, la formazione di uno stato musulmano separato dall’India hindÅ«: nascerà il Pakistan, con il placet britannico, nel 1947.
Quando nel 1895 nasce l’”Indian National Congress” – da ora INC – queste organizzazioni trovano una piattaforma politica comune in un movimento che assorbe le istanze delle medesime e si propone sin da subito di divenire la prima realtà politica nazionalista indiana che può includere le molteplici istanze del subcontinente indipendentemente dai regionalismi o dal credo religioso. È importante precisare che all’inizio, il mondo musulmano mantiene quella diffidenza verso la nuova formazione politica per le ragioni già riferite. Cionondimeno, l’avvocato musulmano, originario di Bombay, Badruddin Taybji (1844 –1906) sarà , sin dagli esordi del Congresso, uno dei suoi membri maggiormente attivi, divenendone il terzo presidente tra il 1887 e il 1888. Nel tempo, tra le fila del neonato movimento, il numero di leader di fede musulmana andranno aumentando contribuendo fattivamente al pieno raggiungimento della più tarda indipendenza del subcontinente.
La “Safety Valve Theory”
Due ipotesi si presentano presto all’attenzione degli storici in merito alla nascita dell’”INC”: la prima vede nella nascita del Congresso la ragionata decisione del popolo indiano pienamente consapevole della necessità di provvedere in prima persona ad assumere una piena autonomia politica per potersi governare senza le insostenibili ingerenze britanniche; la seconda è nota invece come “Safety Valve Theory” ovvero la teoria della “valvola di sicurezza”, la quale sostiene che il Congresso sia un’entità politica nata a partire da uno stratagemma britannico volto a cogliere, attraverso un forum pubblico, i primi segnali che potevano precedere le esplosioni di moti di ribellione. Quest’ultima verrà presto abbandonata.
La “Safety Valve Theory” viene presentata nel 1916 dallo scrittore e combattente per la libertà dell’India Lala Lajpat Rai (1865 – 1928) nel suo articolo ”Young India” con la finalità di colpire l’ala più moderata dell'INC. La teoria si basa sulla biografia di Allan Octavian Hume (1829 – 1912), ex ufficiale del Civil Service imperiale e promotore dell’INC, scritta tre anni prima da William Wedderburn (1838 – 1918). Viene sostenuto che Hume avesse trovato sette volumi apparentemente prodotti dalla polizia imperiale, dove emergeva il fatto che il popolo indiano si stesse adoperando per una violenta reazione al Raj data dall’insostenibilità delle condizioni di vita imposte da questo. Tale scoperta, corroborata dalle informazioni fornite allo stesso Hume da misteriosi individui dotati di poteri spirituali, avrebbe condotto l’uomo ad entrare in contatto con il viceré Duffering architettando la promozione del Congress come valvola di sicurezza per il contenimento di eventi a suo dire superiori a quelli del 1857 ed equiparabili a quelli del 1776 – 1783 in America del Nord (Op. Cit. p.36).
Le origini del nazionalismo indiano
Esclusa l’ipotesi pseudostorica, il primo incontro ufficiale dell’”INC”, viene quindi organizzato dall’ex ufficiale del Civil Service Hume. Egli sin dal 1883 aveva inviato un comunicato aperto ai laureati presso l’Università di Calcutta3. Nel comunicato, il suo autore invita a riflettere sulla possibilità di fondare un’entità politica che possa occuparsi delle problematiche del popolo indiano a partire da una diretta partecipazione. Hume a fine dicembre del 1885 convoca a Bombay la prima sessione ufficiale del Congresso con la partecipazione di 72 indiani provenienti da ogni parte del paese. Primo presidente del neonato movimento diviene Womesh Chunder Bonnerjee (1844 – 1906), un avvocato di Calcutta che coprirà la nuova carica tra il 1885 e il 1886.
Indipendentemente dalle teorie cospirazioniste, è indiscutibile il contributo di Hume nella fondazione del Congresso. Può essere storicamente accettabile che la sua iniziativa non sia nata esclusivamente per spirito umanitario ma anche per una visione realisticamente preoccupata dello stato delle cose. Resta altrettanto evidente però la forza propulsiva del popolo aggiogato pronto ormai ad un sensibile cambio di passo politico.
Dalla prima riunione ogni anno i membri del Congresso si riunirono puntualmente per discutere lo stato delle cose e promuovere le iniziative trattate. Le due correnti principali che compongono il nuovo movimento politico sono i nazionalisti rivoluzionari e quelli liberali. I primi propendono per una totale autonomia della nazione indiana che, nata da tempo immemore, non può che proseguire libera sui solchi della tradizione. I nazionalisti liberali sostengono invece la possibilità di consolidare la nazione organicamente al dominio britannico (H. Kulke, D. Rothermund, Storia dell’India, Odoya edizione, Perugia 2019, p.342). Il nazionalismo, prodotto della modernità europea era arrivato in India così come erano arrivate la filosofia degli empiristi e dei razionalisti, così come era arrivata la tecnica. Nulla sarebbe più stato come prima.
NOTE
1 Il common low viene esteso a tutta la colonia solamente verso la metà del XIX secolo. In precedenza la East Indian Company applicava leggi territoriali antecedenti la sua presenza nelle colonie conquistate mentre faceva applicare il common low nelle colonie acquisite tramite insediamento. Cfr. G. Abbate, Un dispotismo illuminato e paterno, riforme e codificazione nell’India Britannica, Giuffrè Editore, Firenze 2015, p.44
2 Il processo di acculturazione imposto da una cultura sull’altra presenta una fenomenologia articolata che nasconde una subdola forma di violenza. Si tratta della violenza simbolica di cui parla fin dagli anni 70 del secolo scorso il sociologo francese P. Bourdieu (1930 – 2002). Nello specifico dell’imperialismo culturale, la violenza simbolica si esplica attraverso l’universalizzazione di esperienze storiche singole. In questo caso sono resi universali i valori particolari della cultura britannica.
3 Sul fermento culturale vissuto al tempo in Bengala vedasi E. Casagrande e K. Digrazia, “Riformismo HindÅ«, Colonialismo, Tradizione e Protagonisti”, Porto Seguro editore, maggio 2022
L’”Indian National Congress” è il movimento politico che assume storicamente un ruolo determinante nell’ottenimento dell’indipendenza dell’India dal giogo dell’impero britannico.