di Enrico Casagrande
Prefazione di Marco Sebastiani
E' certamente molto difficile parlare di induismo in un breve articolo, poiché risulta impossibile ridurre una tale complessità in semplici schematismi. Tuttavia possiamo fare un tentativo, tenendo a mente che qualsiasi categorizzazione tenteremo sarà parziale, arbitraria e artificiale. Ci stiamo occupando di un insieme di tradizioni che affondano le proprie origini in decine di migliaia di anni e che non si sono mai considerate un'entità unica o omogenea. Shivaismo, visnuismo, shaktismo, scuola smarta, movimenti riformatori e i moltissime altri orientamenti, diffusi all'interno del subcontinente indiano, che basano le proprie credenze intorno ai Veda, hanno più differenze che non punti di contatto. In modo analogo a come noi parliamo di "induismo", mi è capitato di ascoltare Indiani che parlavano di "religioni abramitiche", ovvero ebraismo, cattolicesimo, protestantesimo, chiesa ortodossa, islam, etc., in termini analoghi, ovvero facendone un tutto unico. Possiedono però, forse, più elementi in comune le religioni abramitiche di quanto non abbiano quelle raggruppate sotto l'etichetta di "induismo".
I popoli indiani iniziarono a sentire una comune identità religiosa e culturale sotto l'orrenda dominazione britannica e, soprattutto, nel momento storico finale di questo barbaro impero. Ovvero quando la nazione indiana fu smembrata in due parti, seguendo le linee dei pozzi petroliferi della British Petroleum, generando l'artefatto stato del Pakistan, producendo il maggior numero di profughi nella storia dell'umanità e un numero incalcolabile di morti. Nonostante il dominio inglese abbia compattato i popoli d'India, risvegliato una certa coscienza nazionale e un'identità religiosa, asserire che l'imperialismo britannico abbia fatto cose buone in India sarebbe come affermare che il Nazismo le abbia fatte in Europa.