Sanscrito Lez.3 - le consonanti
marzo 18, 2020
Tutte le consonanti sono pronunciate con la vocale अ, a, congiunta. Per questa ragione le "lettere" dell'alfabeto devanagari sono in realtà sillabe.
Come dicevamo, le consonanti dell'alfabeto seguono un
ordine perfetto e magnifico, che le raggruppa in 5 gruppi: si inizia con le 4 lettere prodotte con la
parte più profonda della gola, le gutturali; poi, con un piccolo
avanzamento della lingua, si fa risuonare le consonanti nella parte alta
della bocca, le cerebrali o retroflesse; si prosegue con i suoni nei
quali si appoggia la lingua al palato, le palatali; poi ancora le dentali e le
labiali. E' più facile nella pratica che nella
teoria. Questi 4 suoni per ogni gruppo, a loro volta, alternano una
lettera non aspirata e la corrispondente aspirata, che traslittereremo
seguita da una H. Alternano inoltre una consonante sonora e una sorda;
questa differenza, seppure presente anche in italiano, è più sottile e
la conoscono solo i linguisti, e, potremmo dire, si basa sulle vibrazioni delle corde vocali: il suono KA è sordo perchè
richiede poca aria per essere pronunciato, fa vibrare poco o niente le corde vocali, il successivo gutturale non
aspirato è GA, sonora, che richiede un flusso d'aria maggiore e un impegno molto più percepibile delle corde vocali. Provate a dire pianissimo "gara" sembrerà diciate "cara".
Ai
quattro suoni per ogni gruppo, si aggiunge un quinto, la nasale (suono N)
corrispondente al gruppo, la cui differenza, rispetto
all'organo fonatore utilizzato, è impercettibile, ma, vedremo, il sanscrito utilizza
caratteri differenti. Anche in Indi la differenza tra questi suoni è
impercettibile e diversa nei vari accenti locali.
Ai cinque gruppi di consonanti sopra elencati se ne aggiungono altri due: semivocali e sibilanti.
Tutta questa
spiegazione potrebbe anche essere ignorata, ma, secondo me, rende più
facile memorizzare la corretta successione delle lettere.
Veniamo ora alle consonanti, ricordiamoci di memorizzare sia il simbolo nell'alfabeto devanagari, sia il simbolo per la traslitterazione corretta. Teniamo anche presente che per la memorizzazione aiuterà moltissimo la prossima lezione in cui scriveremo dall'inizio alla fine tutto l'alfabeto: il processo di scrittura, se fatto molte volte, fissa nella memoria i segni.
Focalizziamoci un istante sulla pronuncia:
Le gutturali sono sempre aspre: क (leggi ka) si pronuncia come la c in casa, chimico o che; ग (leggi ga) si pronuncia come la g in gatto, ghiro o ghetto. Diremo quindi bhagavad-gītā, pronunciando "ghita" e mai "gita". Così come yoga e yogin (yoghin). Differentemente da come si pronuncerebbe la traslitterazione in italiano.
Le palatali sono sempre morbide, anche quando rpecedono una a o un o: च si pronuncia come nell'italiano ciao o cena; così come ज in giardino o gene.
Le cerebrli si pronunciano come i suoni T e D corrispondenti, ad essere pignoli la lingua invece di appoggiarsi sui denti, poggia sul palato, ma è trascurabile. Alcuni dicono che la pronuncia corretta è la stessa della D nel siciliano "beddu", per dire bello.
Il suono फ, pha, è più una P aspirata che non una F.
Infine श, śa, e ष, ṣa, si pronunciano allo stesso modo, ossia come nell'italiano scienza, scena o sciame, è infatti alle volte traslitterato sh, ma questo sistema non distinguerebbe tra i due diversi segni del sanscrito. Per ricordarsi la differenza può forse essere utile menzionare il sommo śiva (a volte si incontra la notazione Śiva, per rispetto, sebbene il sanscrito non abbia il maiuscolo) e il divino kṛṣṇa o Kṛṣṇa (Viṣṇu, di cui è l'ottavo avatar, perdoni chi scrive Krishna ;-)
Sarà chiaro a tutti adesso che il simbolo di maṇipūra cakra, la terza ruota energetica secondo la saggezza della vita, l'ayur veda, riportato all'inizio del presente articolo, ha nel suo interno la scritta raṃ.
Accenzazione delle parole
Forse è utile ripetre che l'accento cade di norma sulla penultima sillaba se questa è lunga, per natura o per posizione; altrimenti si ritrae sulla terzultima; se anche questa è breve, può ritrarsi fino alla quartultima, ma è molto raro, come in italiano. Le parole composte sono accentate sull'ultimo elemento del composto ovvero hanno il normale accento che avrebbe l'ultima parola del composto.
Nel sanscrito vedico, leggermente diverso dal sanscrito classico, l'accento veniva segnato su ogni parola. Questa tradizione, visibile in molti manoscritti, si è però persa. Teniamo anche presente che molte opere sono lette in metrica e questo fa spostare un poco gli accenti.
Nel sanscrito vedico, leggermente diverso dal sanscrito classico, l'accento veniva segnato su ogni parola. Questa tradizione, visibile in molti manoscritti, si è però persa. Teniamo anche presente che molte opere sono lette in metrica e questo fa spostare un poco gli accenti.
Il genere dei termini utilizzati in italiano
E' corretto scrivere “le mudra” oppure “i mudra”? "gli āsana" o "le āsana"? Come spesso accade, chi tuona che sia obbligatoria una dizione piuttosto che un'altra, spesso ignora il motivo. Cerchiamo di fare chiarezza. Il discorso rimanda alla lingua italiana più che a quella sanscrita. Possiamo sinteticamente affermare che sia corretto scrivere in entrambi i modi, a seconda di quale regola si scelga di adottare.
In linea di principio si può infatti adottare in italiano, per le parole prestate da altre lingue, il genere della lingua di origine. Mudra, ad esempio, è femminile in sanscrito, quindi scriveremo “le mudra”. Seguendo la stessa regola dovremmo scrivere “gli āsana”, neutro in sanscrito e quindi da rendere con il maschile in italiano. La regola enunciata dell’Accademia della Crusca riferisce però anche che, nel caso in cui si ignori il genere nella lingua originale, oppure non si voglia fare riferimento a esso, è possibile adottare il genere della traduzione che si sottintende in italiano. Possiamo quindi dire “i mudra”, sottintendendo “i sigilli mudra” oppure “le āsana”, “le posizioni āsana”, favoriti in questo ultimo caso anche dall’assonanza della finale in “a”. L’invito, a nostro giudizio, è però sempre quello di fare caso alla sostanza più che alla forma. Se siamo molto rigidi nell'adozione del genere di origine, prima o poi ci capiterà di utilizzare una parola di cui non conosciamo il genere in sanscrito, prima di verificarlo sul dizionario, e a quel punto dovremmo cambiare regola o avere il 50% di possibilità di errore. Ha senso impuntarsi sul fatto che si dica "la spider" o "lo spider"? o abbiamo argomenti più importanti?
0 commenti