L'equivoco dello 'yoga posturale'
settembre 02, 2019Ebbene sì, la teoria dello yoga posturale non sta in piedi. Ma in cosa consiste esattamente? come e dove è nata?
Alcuni anni fa negli Stati Uniti si è diffusa la convinzione che tutto lo yoga moderno fosse di fatto un'impostura e che la pratica come la conosciamo oggi fosse un'invenzione degli ultimi decenni. Purtroppo questa "teoria del complotto" ha conosciuto una certa diffusione mondiale ed oggi è arrivata fino in Italia, assecondata da diversi soggetti. Probabilmente molti, alcuni in buona ed altri in cattiva fede, non aspettavano altro che poter finalmente dichiarare che lo yoga fosse ufficialmente un'attività di fitness e per giunta moderna. Il passo successivo era ufficializzare che fosse nato in America, e magari continuare a venderlo insieme ai completi di intimo. Vedremo di seguito come questa strampalata teoria sia frutto di un equivoco e come questo teorema dello yoga posturale si sia diffuso partendo purtroppo da ambienti accademici.
Tutto nasce da uno studioso, il dottor Mark Singleton, Senior Research Fellow alla SOAS, University of London, e da due sue opere: Roots of Yoga e soprattutto Yoga Body: the Origins of Modern Posture Practice, tratto dalla sua tesi di dottorato. Da questi lavori il nostro autore arriverà ad affermare che lo yoga praticato oggi è un'invenzione dell'ultimo secolo e che le asana che noi tutti conosciamo non esistevano in nessun modo nella tradizione antica. Egli chiama questa forma di fitness creato dal nulla lo yoga posturale. Questa sua visione è riassunta nell'articolo pubblicato quasi dieci anni fa su Yoga Journal: The Ancient & Modern Roots of Yoga. Il giornale americano è sempre molto propenso a pubblicare articoli che screditino lo yoga indiano ed il loro scopo primario, la mission di Yoga Journal è, come appare evidente sfogliando la rivista, vendere pantaloncini, vendere corsi online di insegnanti americani, alla moda, bellissimi e magrissimi, americani dicevamo e quindi in ultima analisi i veri inventori del fitness e quindi dello yoga moderno. Non ci saremmo occupati di questa vicenda se in Italia alcuni insegnanti non avessero in questi mesi iniziato a riproporre, in ritardo di dieci anni [ndr: Yoga Body è del 2010], questa teoria dello "yoga posturale", sulla scia della traduzione italiana di Yoga Body uscita nella primavera di questo anno.
Diciamo subito che il lavoro pubblicato da Singleton è di assoluto valore, figure come la sua sono infatti rare nel mondo accademico, egli è un indologo e un orientalista di assoluto rilievo, ma, al contempo, un esperto e un praticante, un insegnante di yoga lui stesso. Troppo spesso chi si è occupato di yoga, non avendo mai praticato, si è approcciato in modo esclusivamente filosofico, perdendo di vista l'aspetto più importante della materia, quello della pratica.
Roots of Yoga, le radici dello yoga, è un'opera utilissima, molto ben fatta, che colleziona stralci di una quantità notevole di testi che si sviluppano nel corso di 3000 anni circa. Difficilmente troveremo un'opera che colleziona così tante opere. Per questa ragione è una fonte di informazioni utile e molto completa, non fosse altro per la sua indagine bibliografica. E' vittima però, a giudizio di chi scrive, di alcuni grandi errori, metodologici e concettuali.
Veniamo a quello che secondo noi è l'errore metodologico di Singleton. L'autore colleziona le definizioni della parola yoga e dei termini che ruotano intorno a questa attività, da testi nei quale questo termine si presenta, per sua stessa ammissione, in modo comparabile con lo yoga moderno, ovvero con l'idea che ha Singleton dello yoga moderno. Già questo approccio credo faccia crollare il castello. L'argomento non sono le radici dello yoga, ma le radici di ciò che lui ritiene sia lo yoga oggi. Ma c'è di più. Singleton compie una ricerca analitica della parola yoga in moltissimi testi e ne riporta le citazioni, in modo meccanico. Restano esclusi da questa ricerca tutte le opere che trattano di yoga senza chiamarlo esplicitamente in questo modo, come ad esempio i testi dei rituali vedici o tantrici, che saranno importantissimi per lo sviluppo della pratica yoga successiva e forse anche delle successioni di asana nello yoga moderno.
Un errore concettuale presente nell'opera è inoltre il ritenere che tutta la tradizione dello yoga si esaurisca nelle opere scritte. Egli sottovaluta e non considera i reperti archeologici, ad esempio quelli di Mejo Dharo, risalenti ad una civiltà antichissima, dravidica, nei quali sono rappresentati soggetti probabilmente religiosi, seduti in posizioni chiaramente yogiche, in posizioni meditative da seduti, molto profonde, con i palmi delle mani rivolti verso l'alto e i dorsi sulle ginocchia. Queste posizioni presuppongono una tradizione per essere eseguite. Singleton decide poi di ignorare tutte le testimonianze storiche antiche, greche, latine e persiane che narrano di asceti e che descrivono la loro pratica dello yoga. Ma decide di ignorare anche le testimonianze moderne di queste pratiche ascetiche all'interno degli ordini religiosi dei sadhu, i monaci rinunciatari probabilmente discendenti dei personaggi precedentemente descritti. Moltissime scuole tradizionali di yoga ritengono che questa arte sia essenzialmente legata alla pratica e non alla speculazione filosofica, percui tutta la tradizione scritta è spesso solo l'approccio erudito a ciò che veniva e viene praticato.
Singleton identifica poi i sutra di Patanjali con il commentario e il manoscritto più antichi che ci sono pervenuti, ovvero gli Yoga Shastra di Vyasa, arrivando a teorizzare che Patanjali altro non sia che lo stesso Vyasa che redasse anche il commento. Questo approccio lo porta a post-datare i sutra, ma soprattutto a prendere per buone moltissime considerazioni aggiuntive riportate da Vyasa il quale le attingeva dalla propria scuola di yoga, l'antica scuola filosofica shamkya. Patanjali è in parte influenzato dalla filosofia shamkya, ma da qui a far coicidere il commento di Vyasa con i sutra stessi la strada è troppa e porta una serie di incomprensioni fatali. Ad esempio, fondamentale per l'obiettivo del discorso che stiamo facendo, è l'interpretazione dei due sutra dedicati alle asana, alle posizioni. Vyasa afferma che le posizioni dello yoga sono esclusivamente 12, tutte da seduti. Questo diventa il credo di Singleton, ignorando, ad esempio, tutti i testi che parlano di pratiche ascetiche in piedi, alcune volte su di una gamba sola, portate avanti dagli antichissimi ricercatori della verità, yogin o altro che dir si voglia, pratiche molto intense che mettevano a dura prova la resistenza fisica e mentale dei praticanti. Molti sono i testi che ce ne parlano.
Questo approccio porta ad un vizio concettuale che lo obbliga a sottovalutare tutte le antiche posizioni di equilibrio sulle braccia, le posizioni in piedi, ma anche le più complicate asana da seduti, esposte nero su bianco nei testi tantrici. Posizioni alle quali risulta evidentemente impossibile accedere da un giorno all'altro proprio per il loro elevatissimo coefficiente di difficoltà e che richiedono chiaramente anni di pratica e l'esercizio di varianti più semplici per sciogliere e rafforzare il corpo, raffinare la mente, fintanto da riuscire ad eseguire la versione finale. Provate a far eseguire mayurasana, la posizione del pavone, in equilibrio sulle mani ed il corpo parallelo a terra, descritta dettagliatamente nell'Hata Yoga Pradipika ed in testi più antichi intorno al 1000 d.C., ad un principiante, ci vorranno mesi, se non anni di tentativi e posizioni propedeutiche alla riuscita finale. Gli esempi potrebbero essere moltissimi altri. Inoltre, posizioni tanto complesse, schematizzate e riportate in una summa tra solo una decina di altre, dovevano essere ritenute molto importanti ed avere alle spalle moltissimi anni di esperienza e di pratica, difficilmente si possono immaginare inventate dall'oggi al domani dai nostri autori tantrici, in una pratica che tralaltro risulta molto conservativa e a distanza di secoli presenterà molti tratti distintivi invariati.
L'ultimo errore di Singleton, il più imperdonabile, è però quello di considerare apertamente Tirumalai Krishnamacharya un impostore. L'autore ritiene infatti che T.K. abbia di proposito inventato di sana pianta un'intera opera alla base del suo lavoro sul vinyasa, e l'abbia fraudolentemente inserita nella bibliografia de Il nettare dello yoga per millantare origini antiche. Allo stesso modo sarebbero millanterie gli studi di T.K. con i maestri himalayani e le ricerche sullo yoga delle tradizioni. Le posizioni da lui proposte e il sistema di legare le une alle altre sarebbero tratte dalla ginnastica nord-europea contemporanea. A questa conclusione sbalorditiva Singleton arriva quando un giorno gli capita in mano un manuale del 1900 di tale ginnastica ed inizia ad interrogarsi sull'antichità della posizione del triangolo e del cane a testa in giù. Questo innesca la ricerca di cui sopra, viziata evidentemente da un preconcetto, e lo fa giungere alla conclusione che tutte le posizioni che oggi conosciamo siano un'invenzione moderna e che lo yoga era in origine tutt'altra cosa. Meditazione da seduti. Abbiamo già trattato questo argomento specifico in relazione a Tirumalai Krishnamacharya nell'articolo Il mistero svelato della nascita del Vinyasa Yoga non torneremo quindi sulla questione. L'idea che le posizioni riportate nel manuale di ginnastica danese potessero essere state inserite da qualcuno che avesse frequentato o conosciuto le scuole di yoga indiane, piuttosto che viceversa, non sfiora minimamente il nostro autore. Basterà qui ricordare che il maestro T.K. era un brahmano visnuita devoto, esperto e "laureato" in tutte le sei correnti filosofiche o dharsana del pensiero indiano e che dedicò tutta la sua vita fino agli ultimi giorni, alla ricerca della verità e allo yoga. Non è un'operazione di cui andare fieri cercare di screditarlo completamente sulla base del solo fatto che un'opera da lui citata sia andata oggi perduta. T.K., analogamente a tutte le scuole moderne indiane di yoga, traccia un chiaro percorso all'interno della tradizione, che va da Shiva, ai sutra di Patanjali al tantrismo, fino ad arrivare ai tempi moderni, assumendo caratteristiche alle volte peculiari, ma con tratti chiaramente riconoscibili.
Durante la redazione del presente articolo, Eddie Stern, un illuminato maestro di Ashtanga Yoga americano, ha a sua volta pubblicato un articolo di critica nei confronti delle teorie di Singleton, molto puntuale e specifico sul lavoro di Krishnamacharia, arrivando a conclusioni simili alle nostre, ma per una via differente. L'interessante articolo è qui riportato: https://www.facebook.com/AstangaYogaCopenhagen/posts/3223705484313745
Se lo yoga oggi negli Stati Uniti e nelle sale frequentate da Singleton ha assunto il mero contorno di esercizio ginnico delle asana non è sicuramente responsabilità di T.K., ne da questo è possibile congetturare che nello yoga delle tradizioni non esistessero asana da compiere in piedi o che fossero "faticose". Possiamo dire invece con certezza che nello yoga tantrico, a partire dal X secolo d.C., le regole morali ed etiche abbiano assunto minore importanza che non in precedenza, così come che le pratiche prettamente ascetiche, digiuni e mortificazioni di varia natura, vengano criticate e progressivamente abbandonate, questo è evidente. Possiamo aggiungere che nell'Hata Yoga si è sviluppata fin dalla sua nascita una particolare attenzione a tapas, l'intensità, il calore della pratica, facendolo a volte caratterizzare come una pratica fisicamente, mentalmente e spiritualmente impegnativa, se non estenuante. Ma, come è possibile osservare nelle migliaia di sale di yoga tradizionaliste presenti in India, lo yoga si caratterizza ancora come compenetrazione di posizioni del corpo in piedi e seduti, respirazione e controllo dell'energia, rivolgimento dei sensi verso l'interno, concentrazione e meditazione, tutto in un insieme organico. Ogni maestro ha poi la sua ricetta particolare e a volte incentra la pratica giornaliera o tutto il suo percorso su una di queste attività, ma senza tacere o eliminare le altre, dando solamente la preponderanza centrale ad una di queste , attorno alla quale ruoteranno anche le altre.
Questa ci sembra in ultima analisi anche la pratica che portò avanti Trimulai Krishnamacharya, e che comunque cambiò più o meno sostanzialmente, andando avanti con l'età.
D'altronde, come ci insegna Patanjali già nel 300 a.C., lo yoga è azione, kriya yoga, non speculazione.
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