Il quarto e ultimo libro dei sutra di Patanjali è dedicato alla “liberazione” ed è, secondo molti, il libro più importante. L'autore riprende infatti concetti già espressi negli altri tre capitoli e li ribadisce alla luce di tutti i sutra enunciati sino a questo punto. Non vogliamo arrivare a dire che siano i concetti più importanti, ma sono quelli riguardo ai quali l'autore sente di dover ancora puntualizzare qualcosa.
La liberazione che dà il titolo al IV capitolo è quella dello spirito, il concetto ha vari punti di contatto con l'illuminazione buddista, pensiero con il quale Patanjali ha molto in comune, se non altro da un punto di vista storico e culturale. Entrambe le tradizioni si sviluppano intorno al 500 AC nel Nord del Sub-Continente Indiano e raccolgono una tradizione comune molto antica. La liberazione dai vincoli della vita mondana, dai desideri e dall'incessante vagare della mente è però raggiunta, secondo Patanjali, mediante la pratica dello yoga e ai progressi che questa consente, non con una presa di coscienza.
Nei sutra conclusivi, si entrerà ancora più in profondità su quali siano le caratteristiche della mente e dello spirito che donano la libertà a colui che pratica yoga e giunge al massimo livello. Liberazione dai desideri effimeri, dal falso conoscere, la liberazione dalla sofferenza del vivere e dalle conseguenze delle proprie azioni. Quando ogni azione è guidata dai principi dello yoga illustrati nel secondo libro (non violenza ,verità , onestà, morigeratezza, frugalità; purezza, appagamento, pratica intensa, studio di sè‚ abbandono allo spirito assoluto); quando ogni azione non ha più nessuno scopo utilitaristico, né di raggiungere il bene né di raggiungere il male; allora le azioni compiute non hanno più conseguenze che possano toccare il nostro cuore in questa vita; si raggiunge quindi la pace e la liberazione. Il percorso illustrato da Patanjali è stato lungo, ma ora che è possibile osservarlo nella sua interezza, colpisce in modo particolare l’organicità del pensiero.
Questo ultimo capitolo è in generale quello preferito dagli studiosi, dai filosofi, ma anche dagli asceti, che qui trovano un’analisi delle grandi questioni della vita. Alcuni maestri indiani che ho conosciuto, bramini che avevano dedicato l’intera vita allo yoga, guardavano con sospetto e forse anche con disinteresse al quarto libro, per motivi differenti. Taluni mi spiegavano che erano felici nella loro pratica quotidiana, nell’unione della mente e del corpo e nell'estasi dello spirito e che altro non gli interessava. La quotidianità dei riti dei bramini e la visione del mondo induista, giocano forse un ruolo importante in questa scelta. Altri ritenevano che gli argomenti riguardanti le massime sfere dello spirito, non possano essere concettualizzati o, meno che mai, scritte, ma che siano solamente nel proprio animo e che, anzi, concettualizzarle avrebbe nuociuto alla loro esperienza perché avrebbe creato un sentiero non più completamente libero, ma preordinato o comunque con delle aspettative di un certo tipo. Immagino che queste stesse osservazioni potessero essere rivolte all’autore anche dai suoi contemporanei, siamo quindi estremamente grati a Patanjali per aver formalizzato qualcosa che i più forse avrebbero lasciato segreta, una scienza per iniziati, al massimo da tramandare da maestro a discepolo.
L'approccio di questo capitolo è assimilabile ai grandi sistemi filosofici, seppure con proprie caratteristiche uniche, tra cui quella forse più importante di descrivere una scienza empirica, cioè non teorica, ma pratica. Tra gli otto passi che compongono lo yoga, non è prevista nessuna attività speculativa, ma solamente la pratica costante. Patanjali scrive per i maestri più che per i discepoli, per chi deve perpetrare il messaggio e per questo motivo si dilunga in questioni filosofiche, altrimenti estranee allo yoga. Patanjali ci dice che la pratica porta gli yogin a sentire la perfetta unione tra mente, corpo e spirito, ma il percorso e i risultati saranno soggettivi. Il percorso è precluso solamente a chi non prova (o a chi è pigro, come era solito ripetere il maestro Pattabhi Jois). La grandezza e unicità dello yoga consiste, secondo chi scrive, nell'iniziare non con grandi proclami ma con piccoli passi, con un po' di allungamento a gambe incrociate. “Inizia a praticare, tutto il resto seguirà” aggiungeva il grande guruji. Nessuno può prevedere esattamente quale sarà il viaggio, né dove condurrà, ma, a chi volesse, perseverando con tenacia e costanza in un’intensa pratica (tapah come dice il nostro autore), potrebbe riservare grandi sorprese e offrire una fonte di tranquilla gioia difficilmente eguagliabili; una ricerca appassionante che dura tutta la vita. E non sono parole vuote. Scusate l'esternazione, forse fuori luogo, ma a parlare è il mio amore per lo yoga. Ora lasciamo invece che a parlare sia Patanjali.