Il mito dietro le asana: Galavasana, flying pigeon
gennaio 12, 2017
Galava era allievo di Viswamitra, altre versioni riferiscono fosse il figlio,
uno dei più venerati rishi o saggi dell'India antica. La gesta di Galava vengono narrate all'interno del poema epico Mahabharata, che racconta la storia della della stirpe dei Bhārata ed è, insieme al Ramayana, il poema epico più importante degli Hindù.
uno dei più venerati rishi o saggi dell'India antica. La gesta di Galava vengono narrate all'interno del poema epico Mahabharata, che racconta la storia della della stirpe dei Bhārata ed è, insieme al Ramayana, il poema epico più importante degli Hindù.
Quando Galava era piccolo, Viswamitra attraversò un periodo di estrema povertà, a causa del quale decise di vendere il figliolo. Lo legò ad una corda e lo espose per la strada. Corda in sanskrito si dice galava e per questo motivo il ragazzo assunse tale nome. Per la strada passava però il principe Satyavrata che si impietosì per il bambino e lo liberò riportandolo dal padre.
Galava, alla fine dei suoi studi, iniziò a chiedere molto insistentemente al suo guru quale regalo desiderasse. La richiesta appare in effetti fuori luogo, trattandosi di monaci rinunciatari, ma, come spesso accade, il mito trascende il senso comune e si esprime per simboli, volendo forse anche stigmatizzare nei confronti di una pratica in alcuni casi documentata. Viswamitra era molto infastidito ed alla fine tuonò con una richiesta impossibile che metterà in moto la storia successiva: 800 cavalli bianchi, ognuno dei quali avrebbe dovuto avere soltanto un orecchio nero. Questo episodio è molto conosciuto in India e stereotipo di richieste non esaudibili.
Galava rimase molto stupito e chiese consiglio nientedimeno che a Garuda, il signore degli uccelli, mitica cavalcatura di Visnù. Egli non era in grado di soddisfare tale richeista, ma lo consigliò di recarsi dal re Yayati presso Pratishthana. Nemmeno il re riuscì a soddisfare la richiesta, ma offrì in sposa a Galava sua figlia Madhavi. Successivamente Galava offrì la fanciulla in matrimonio ad altri tre sovrani dai quali in cambio ricevette 200 cavalli ciascuno e un figlio. Galava portò quindi i 600 cavalli al suo maestro e anche la moglie che, dicono le scritture, fosse rimasta vergine. Viswamitra accettò i doni ed ebbe un nuovo figlio con Mahavi, che fu chiamato Ashtaka, dopo di chè si ritirò nella foresta. Galava a sua volta riaccompagnò la fanciulla da suo padre e si ritirò nei boschi. Non dovrebbe essere necesasrio ricordare che la natura mitica dei personaggi li rende non conformi alle regole dell'esperienza del nostro mondo, ma soggetti a leggi del tutto particolari e mutevoli.
Esiste una versione alternativa di questo mito che collega la parte iniziale e quella finale della storia ovvero afferma che Galava, per soddisfare la richiesta del suo guru, si recò da un re il quale come pagamento per i cavalli lo ridusse in schiavitù, legandolo per un piede ad una corda.
Il collegamento della posizione yoga con questo mito sembra essere univoco e rappresentare il giovane Galava appeso per una corda alla caviglia. A rafforzare questa versione è il collegamente diretto del termine galava con la corda stessa. Sarebbe infatti possibile tradurre Galavasana come "la posizione della corda", ovvero "the rope pose", perchè è questo il significato del nome comune sanskrito, ma, onestamente, non ho mai sentito nessun maestro, sia in occidente che in India (in Hindi corda si dice "dori"), chiamarla con questo nome.
0 commenti