Il mito dietro le Asana: Virabhadra, il guerriero I, II, III
ottobre 21, 2016di Marco Sebastiani
Sono molte le posizioni (asana) dello yoga, il cui nome originale rimanda a figure della mitologia induista. Un esempio classico è Virabhadrasana I, II e III (oppure A,B e C), le tre posizioni del guerriero, tra le asana più conosciute e con il più ricco background mitologico. La filosofia antica indiana, così come lo yoga, sono soliti esprimersi in sanscrito, l'antica lingua dell'India.
In questo caso, la traduzione italiana e inglese di "guerriero" o "warrior", non è fedelissima all'originale. In realtà, in sanscrito, Virabhadra non significa "guerriero", ma è un nome proprio, di una divinità, composto da due termini: Vira e Bhadra.
Il primo, Vira ( वीर ) significa eroe, uomo coraggioso, figlio maschio, eroismo, sacro fuoco rituale. Una connessione meravigliosa è la comune origine di questo termine con il latino Vir, uomo, da cui deriva appunto l'italiano virile. Sanscrito, latino, italiano e indi hanno infatti una comune origine tra le genti indoeuropee che 3-4.000 anni fa popolavano l'asia centrale e sono numerosi i termini che hanno uguale radice. Usciremmo dal tema di questo articolo, ma basti ricordare che madre in latino si dice mater e in sanscrito mata, così come il fuoco che in latino è igni, diviene agni in sanscrito, come il Dio Agni, eccetera, eccetera. Virasana, la posizione dell'eroe, è però una posizione molto differente da Virabhadrasana, e si esegue seduti.
Il secondo, Bhadra (भद्र), significa buono, benevolo, di buon auspicio, bello, felice, grandioso, ma anche ferro, acciaio, oro, prosperità e vari altri concetti. Il sanscrito è infatti una lingua che è stata utilizzata per migliaia di anni praticamente invariata, un caso abbastanza raro nel panorama linguistico, in quanto divenne lingua rituale (altra analogia con il latino), e quindi i termini hanno sovente moltissimi diversi significati. Questa caratteristica unita al tema mistico della maggioranza dei testi, non ne facilita la chiarezza, ma proprio qui nasce la ricchezza e la bellezza interpretativa della sua letteratura.
La storia dietro Virabhadrasana, la cosiddetta posizione del guerriero, inizia con una fanciulla, Sati ( शाटी = amore, bontà, virtù, dono, etc.), che si innamora del grande maestro dello yoga e del dio maschile per eccellenza: Shiva. I due si ricambiano e si sposano. Secondo un'altra versione alla festa per
scegliere il marito di Sati non fu invitato Shiva e quando lei gettò la ghirlanda
di fiori in cielo, la prese proprio questo Dio, ma il punto cruciale della vicenda è un altro. Secondo tutte le versioni del mito, il loro amore viene successivamente ostacolato dal padre di lei Daksha, re di Yagna. Daksha, figlio di Brahma, inizia quindi a tormentare la figlia che presa dallo sconforto, non desiderando più il proprio corpo fisico, si uccide abbandonandosi ad una meditazione profonda e morendo di stenti oppure secondo altri gettandosi nel fuoco rituale.
Quando Shiva seppe del fatto non la prese bene. L'ira di Shiva è sempre qualcosa di poco raccomandabile, basti pensare che nella sua forma di Nataraja è colui che distrugge periodicamente il mondo. Gettò quindi sulla terra uno dei suoi caratteristici ricci, da cui nacque Virabhadra, l'eroe d'acciaio o l'eroe buono, che si configura quindi come incarnazione di Shiva. A lui fu ordinato di tagliare la testa a Daksha e di bere il suo sangue.
Virabhadra, è sempre rappresentato nell'iconografia induista, molto muscoloso, fortissimo, con i baffi, con una grande spada tra le mani, e siccome le divinità indiane hanno molte braccia, anche con un arco, una freccia e altri vari simboli, di cui alcuni appartenenti a Shiva come il tridente; come la sua incarnazione è inoltre bianco di pelle. Spesso viene rappresentato nell'atto di tagliare la testa a Daksha che invece è dipinto di pelle blu, come Visnù la divinità che secondo alcune versioni lo protegge, ma non divaghiamo.
Virabhadra si avvicina alla città di Yaga ruggendo terribilmente e, una volta arrivato, taglia immediatamente la testa al cattivo re. A questo punto, come spesso accade, il mito indiano ci sorprende e Shiva, recatosi sul posto per controllare l'accaduto si muove ad un raro atto di compassione e decide di riportare in vita Daksha, impiantandogli la testa del primo animale che trova, tra le versioni più ricorrenti si tratta della testa di un ariete. Qualcuno scorgerà analogie con la vicenda della decapitazione e sostituzione con una testa di elefante operata da Shiva a Ganesha.
In realtà il colpo di scena finale è motivato da almeno due buone ragioni. Torna infatti a regnare l'armonia nella trinità indiana, tra Shiva, Brhama, padre di Daksha, e Visnù suo protettore.
Ma la ragione più importante è dovuta al motivo simbolico della storia: Daksha rappresenta infatti l'ego che distrugge l'amore (Sati) , inteso come amore per la divinità o equilibrio interiore, ma grazie all'intervento di Shiva, ovvero lo spirito elevato, lo spirito dello yoga, l'ego viene neutralizzato, non distruggendolo completamente, ma rimettendolo al posto che gli spetta, non prominente e a dominio della mente. Lo strumento utilizzato è la disciplina (yogica?) propria degli eroi (vedi Arjuna della Bagavat Gita). Ricordiamo che i "guerrieri" sono in india la casta di re, principi e amministratori in genere, seconda solo a quella dei brahamani.
Come si collaca questa bella storia con le posizioni yoga del Guerriero
uno, due e tre? Entriamo ovviamente nel campo delle congetture, ma
seguendo l'immaginario indiano e una tradizione abbastanza conosciuta e arrivata fino ai
giorni nostri, possiamo affermare che:
fig. 2 - Il maestro Yiengar in Virabhadra I
Virabhadrasana I rappresenta l'eroe mentre si reca a Yaga, brandisce la grande spada sopra la testa ed essendo stato generato da una ciocca gettata in terra, è solido come questo elemento e da esso trae la sua grande forza. Questa posizione è tradizionalmente connessa infatti con la stabilità, sottolineata dalle gambe molto larghe, con il primo chackra e con la ricerca di forza interiore. Ho visto in India eseguire questa asana con le mani una a pugno e l'altra a cingerla, come se si avesse davvero in mano una spada sopra la testa.
fig. 2 - Il maestro Yiengar in Virabhadra II
Virabhadrasana II rappresenta l'eroe mentre prende chiaramente la mira, con la spada o forse con l'arco, per sconfiggere il suo nemico. Secondo le fonti classiche Virabhadrasana II acuisce la concentrazione della mente come poche altre posizioni. Sarà una coincidenza, oppure la concentrazione, ma se fate caso, molte persone assumono in questa posizione un'espressione molto seria, corrucciata, come se stessero per vendicare Sati...
Anche in questo caso mi è capitato di vedere qualche indiano eseguirla con la mano dietro a pugno, come nel gesto di portare la spada dietro la schiena oppure con la stessa mano sulla guancia e quella davanti a pugno, mimando il gesto dell'arciere.
Anche in questo caso mi è capitato di vedere qualche indiano eseguirla con la mano dietro a pugno, come nel gesto di portare la spada dietro la schiena oppure con la stessa mano sulla guancia e quella davanti a pugno, mimando il gesto dell'arciere.
fig. 2 - Il maestro Yiengar in Virabhad
Virabhadrasana III è una posizione molto diversa dalle due precedenti, si abbandona la solidità e la forza a favore della ricerca di una condizione di equilibrio. In prima istanza rappresenta il momento in cui viene inferto il colpo di spada con cui viene recisa la testa di Daksha oppure la freccia scoccata dall'arco dell'eroe. Più in profondità, secondo la tradizione spirituale indiana non dualista: guerriero, spada e colpo oppure e arcere, arco e freccia sono una cosa soltato, così come uomo, spirito e divinità, protési verso il ricongiungimento. L'ego è ormai vinto, l'eroe cerca pace. Ucciso Daksha, Shiva ha compassione e ritrova il proprio equilibrio, centro dell'universo.
Come ha recentemente detto il primo ministro indiano Narendra Modi citando Shri T. Krishnamacharya: "Lo Yoga è il più grande dono dell’India al mondo." Insieme ai samosa.
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