Tapas: la pratica intensa tra Veda e Yoga

maggio 23, 2019


di Marco Sebastiani


E' estremamente interessante rintracciare alcuni concetti chiave dello yoga nelle proprie origini antichissime. Possiamo vedere in questo modo come spesso il significato profondo di taluni termini sia il medesimo, seppure applicato in un contesto differente. In particolare, alcuni concetti nascono, nel pensiero indiano e induista, riferiti all'universo, alla creazione e all'emancipazione del mondo, e da questo contesto sono portati nello yoga come trasferimento dall'universale al particolare. Sin dall'opera di Patanjali lo yoga è trattato come l'analisi dell'uomo su se stesso, visto come riflesso dell'universo, animato e illuminato dalla stessa scintilla vitale divina. In questo modo lo spirito individuale, osservabile grazie allo yoga tramite la cessazione delle oscillazioni della mente, è della stessa natura dello spirito universale, che tutto pervade appunto e della cui energia costituisce una manifestazione. Questi concetti sono già insiti nell'opera di Patanjali, del 3-500 AC, che riprende l'antichissima tradizione vedica, in particolare del Rigveda, addirittura del 1400 AC, riferendola però all'esperienza umana individuale e non più all'universo intero.  Il persistere di questi concetti nella loro essenza, per un periodo così lungo, è già di per sè un fatto strabiliante. I mille anni che separano Patanjali dai Veda più antichi sono un'eternità, in questo lasso di tempo cambia addirittura la lingua, mentre Patanjali si esprime in sanscrito classico, i Veda adottano una lingua definita indo-ariano delle origini o sanscrito vedico, incomprensibile a chi conosca il solo sanscrito classico. Intere culture si fanno e si disfano in due millenni, ma alcuni tratti del pensiero e della filosofia indiani restano e si arricchiscono. 
Questa corrispondenza tra macrocosmo universale e microcosmo umano sarà poi portata ancora più avanti dagli autori tantrici, nell'Hata Yoga Pradipika in modo molto concreto, negli Shiva Sutra in uno stile più mistico ed elevato, così come in moltissimi altri testi. Ulteriori 2000/1500 anni separano Patanjali dal tantrismo, ma ancora una volta le idee sopravvivono ed in  questo caso sopravvive una pratica che continua a chiamarsi yoga. E così nel Subcontinente indiano, tra mille rivoli e declinazioni, fino ai giorni nostri, ciò che è nato 3500 anni fa, è ancora attuale.

Emblematico è il concetto di tapas, centrale nell'opera di Patanjali e per tutto lo yoga che seguirà, così come nel Rigveda.


Ricorderemo brevemente [confronta: Patanjali Yoga Sutra, Libro Secondo: Gli Strumenti ] come per l'autore degli Yoga Sutra, tapas sia una delle componenti costitutive dello yoga stesso:

YSII:1. Tapah svadhyayes isvarapranidhanai kriyayogah
Lo yoga è azione e si realizza in tre componenti:  pratica intensa [tapas], studio di sé [svadhyaya]‚ abbandono allo spirito assoluto [isvarapranidhana].

Quindi, riepilogando, lo yoga è azione. Si realizza nella pratica intensa, intesa come trasformazione e purificazione del praticante.  La pratica intensa si riferisce ad una vita semplice ed austera, ma anche ad una pratica metodica, disciplinata e con elevato grado di impegno. La stimolazione dell'energia interna del corpo, che risale dalla base della colonna vertebrale fino, nei livelli più alti di pratica, alla sommità della testa, produce un calore purificante, libera dalle impurità materiali, ma anche derivanti dall'ignoranza della verità.  Verità che si esplica a vari livelli fino alla somma verità, ovvero che lo spirito individuale e lo spirito universale sono della medesima sostanza, hanno la stessa origine e quindi possono ricongiungersi. Tapas è proprio questo calore, questa energia, sprigionati dalla pratica, che conduce alla perfezione, che genera nuovi stati di coscienza.

E ancora, sempre in Patanjali:

YSIV:1. janma oshadhi mantra tapas samadhi jah siddhayah
I doni dello yoga sorgono tramite la nascita, le cure [osadhim], i mantra, una intensa pratica [tapas] e il samadhi, ovvero il ricongiungimento con lo spirito universale.

In apertura del quarto libro, relativo la liberazione dell'essere, ma riferendosi al precendente nel quale aveva trattato i doni dello yoga per il praticante, Patanjali ritorna sul concetto di tapas, elemento costitutivo quindi dello yoga dell'azione e anche componente essenziale affinché lo yoga possa dare i suoi doni più preziosi. Egli ribadisce quanto sin qui enunciato ovvero che sia indispensabile una pratica intensa e aver completato tutto il percorso degli otto rami dello yoga, che portano al risveglio della parte di spirito assoluto presente in noi, per conseguire i massimi benefici. Lo spirito assoluto risiede in noi dalla nascita e lo yoga permette solamente di renderci conto della sua esistenza e di goderne, tramite tapas, la pratica intensa e la sua energia. Questo è sicuramente un concetto fondamentale per tutta l'opera.

Ma veniamo ora al Rigveda, uno dei quattro libri canonici che costituiscono il corpus dei Veda tradizionali. Dove compare, in questa fondamentale opera induista, il concetto di tapas? Sicuramente nel decimo capitolo o mandala, a proposito della creazione dell'Universo. In particolare negli inni 129 e 190, che proporremo di seguito consecutivamente. Ricordiamoci che a noi interessa esclusivamente il concetto di tapas, seppure proponiamo integralmente i due inni per non negare al lettore la bellezza di questi versi eterni.

 Soprattutto il primo inno, il 128, tratta di alcuni altri concetti, oltre tapas, e pone questioni molto profonde, ma ricordiamoci che il fulcro del nostro discorso è la sola terza strofa. Data la complessità del sanscrito vedico, non si riporta il testo originario, ma la sola traduzione:

RV X,129
Nasadiya Sukta, Inno delle origini


1. In principio non vi era né l'essere né il non essere.
Non vi era l'aria, né ancora il cielo al di là di essa.
Che cosa lo avvolgeva? Dove? Chi lo proteggeva?
C'era l'acqua, insondabile e profonda?

2. Non vi era la morte, allora, né ancora l'immortalità;
di notte e di giorno non vi era alcun segno.
L'Uno respirava senza respiro, per impulso proprio.
Oltre a questo non vi era assolutamente niente altro.

3.Vi era solo tenebra, tutto era avvolto dalle tenebre,
tutto era acqua indifferenziata. Allora
quello che era nascosto dal vuoto, quell'Uno, emergendo,
agitandosi, mediante il potere dell'energia del calore [tapas] venne in essere.

4.In principio sorse l'amore  [oppure: sorse Amore],
la primitiva cellula germinale della mente.
I veggenti, indagando nei loro cuori con saggezza,
scoprirono la connessione dell'essere nel non essere.

5.Una linea netta separò l'essere dal non essere.
Che cosa era scritto al di sopra e al di sotto di essa?
Vi erano portatori di semi e forze potenti
spingevano dal basso e avanzavano in alto.

6.Chi lo sa veramente? Chi può permettersi di dirlo?
Da che cosa nacque? Da dove originò questa creazione?
Anche gli dei vennero dopo la sua apparizione.
Chi dunque può dire da dove venne in essere?

7. Da cosa è sorta la creazione,
se si sia tenuta salda oppure no,
Colui che contempla dall'alto dei cieli,
Egli sicuramente lo sa, o forse non lo sa!


RVX, 190
Tapas, l'energia del calore


1. Dall'energia del calore [tapas] venne l'ordine cosmico [rita]
e la verità [satya]; da una parte fu generata l'oscura notte;
dall'altra l'oceano con le sue onde fluttuanti.

2. Dall'oceano con le sue onde fu generato l'anno
il quale dispone la successione delle notti e dei giorni,
controllando tutti gli esseri viventi.

3. Poi, come era già stato, il Creatore modellò
il Sole e la Luna, il Cielo e la Terra,
l'atmosfera e il dominio della luce.

In questi meravigliosi inni abbiamo reso tapas come "energia del calore". Per onestà intellettuale, dobbiamo dire che la traduzione scelta è quella che più si presta al nostro discorso, sebbene sposata anche da Macdonnel che lo esprime con "power of heat", ma il termine, storicamente, è stato reso in questi inni, con molte altre parole: ardore sfavillante, calore spirituale, fervore creativo, fuoco spirituale, fervore ascetico, calda bramosia, ascesi, eccetera. Qui, quello che a noi interessa non sono però le parole, seppure gli inni siano anche poesie stilisticamente ineccepibili, ma il concetto ultimo dietro il termine.
Il tapas, energia del calore, fuoco ascetico, concentrazione, che dir si voglia, è considerato in questo inno 190,  penultimo inno del Rigveda, come l'energia che da nascita all'orizzonte cosmico e alla verità. I tre concetti principali della saggezza vedica sono proprio questi: tapas, rita e satya, energia del calore, ordine e verità. Nell'inno 128 si afferma che l'universo emerge da o attraverso l'enegia del calore, nel 190 viene detto che il primo prodotto di questa energia è da un lato l'ordine, ovvero la struttura, il principio formale, la trama della realtà, e, dall'altro, la verità, ovvero i contenuti, la sostanza, il principio materiale, la realtà concreta. Grazie all'ordine, rita, prodotto da tapas, questo mondo non è un caos, ma un cosmo, non una massa caotica, ma un tutto armonioso. Grazie a satya il mondo non è un luogo accidentale, un gioco inconsistente, ma un essere strutturato.
L'energia del calore, tapas, dà vita alla realtà indifferenziata che non ha simbolo migliore della notte ancestrale che tutto avvolge, ma anche allo spazio e al tempo, rappresentati dall'oceano e dall'anno e poi alla vita stessa, a "tutti gli esseri che battono le palpebre" dice letteralmente il testo. Poi infine a sole, luna, cielo, terra e alla luce. Tutto grazie al potere del calore!

Non meraviglia più di tanto quindi che, riportando questo calore all'interno dell'uomo,  la pratica del tapas venga considerata come una riattualizzazione di questo atto primordiale e cosmico per mezzo del quale l'universo venne in essere. Lo yogin che attua il tapas nella sua pratica, non sta fissando passivamente le cose o il nulla, non sta cercando di distrarre la mente, sperimenta in sè l'energia del calore, il fuoco, l'ardore e il potere di concentrazione capaci di creare e di distruggere il mondo interiore ed esteriore.

Tapas risveglia lo spirito assoluto universale che tutto pervade nei Veda, quando lo spirito era nascosto dal vuoto della notte primigenia e, analogamente, permette di accedere allo spirito individuale, della stessa essenza dello spirito assoluto, negli Yoga Sutra, quando era nascosto dalla mente e dall'illusione che questa proiettava. L'energia del calore è il motore del mondo e dell'essere.

Potremmo spingere oltre il discorso tracciando un parallelismo tra tutte e tre le categorie di Patanjali, tapas,  svadhyaya e isvarapranidhana con le tre categorie del Rigveda, tapas, rita e satya o eka, oppure tra il fondamentale concetto di satya per entrambe queste opere, ma il discorso ci porterebbe molto lontano e gli argomenti sin qui introdotti ci sembrano già sufficientemente rilevanti.






Per chi volesse approfondire la lettura dei Veda, tra le innumerevoli opere, si consiglia su tutte, per sintesi e chiarezzaa, The Vedic Experience - Mantramanjari, di Raimon Penikkar, pubblicato in Italia da BUR con il titolo I Veda e a cui, seppure non si parli di yoga e di Patanjali, il presente articolo deve molto.

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