Bhagavad Gita: La sofferenza di Arjuna [BG1.20-46]

maggio 10, 2019



traduzione di Vyasa Sante*
testo e commento a cura di Marco Sebastiani


Arriviamo ora al punto cruciale del primo capitolo della Bhagavad Gita, gli eserciti si sono valutati e scrutati, ma ora l'attenzione è tutta per Arjuna. Il nostro eroe appare particolarmente umano, dopo aver visto amici e parenti tra le fila nemiche, è assalito da un profondo dolore e si interroga sui motivi e sulle conseguenze del combattere e in ultima analisi della guerra. La sua voce è quella che istintivamente ci appartiene, contraria a qualsiasi guerra. Toccherà poi a Vishnu, per bocca di Krishna, chiarire quale sia il giusto modo di agire e quali siano i sommi irrinunciabili valori di giustizia e libertà, ai quali non ci si può sottrarre. Ma non anticipiamo la bellezze di questi versi che seguono.

Bg. 1.20
अथ व्यवस्थितान्दृष्ट्वा धार्तराष्ट्रान्कपिध्वजः
प्रवृत्ते शस्त्रसम्पाते धनुरुद्यम्य पाण्डवः
हृषीकेशं तदा वाक्यमिदमाह महीपते ॥ १.२० ॥
atha vyavasthitān dṛṣṭvā
dhārtarāṣṭrān kapi-dhvajaḥ
pravṛtte śastra-sampāte
dhanur udyamya pāṇḍavaḥ
hṛṣīkeśaṁ tadā vākyam
idam āha mahī-pate

atha: in quel momento; vyavasthitan: situato; dristva: osservando; dhartarastran: i figli di Dhritarastra; kapi-dhvajah: colui la cui bandiera porta lo stemma di Hanuman; pravritte: pronto a impegnarsi; sastra-sampate: a scoccare le frecce; dhanuh: arco; udyamya: afferrando; pandavah: il figlio di Pandu (Arjuna); hrisikesam: a Sri Krishna; tada: allora; vakyam: parole; idam: queste; aha: disse; mahi-pate: o re.

Oh sovrano, ora Arjuna il cui stendardo porta l’effige di una scimmia, vedendo i figli di Dhritarashtra schierati con le armi in pugno e pronti a combattere, sollevò in aria il suo arco e rivolgendosi a Krishna disse:

Come abbiamo visto, i Kuru, i figli di Dhritarastra, sono intimoriti per l'inatteso spiegamento di forze dei figli di Pandù, i Pandava, dimostrato anche dal boato emesso dalle loro conchiglie suonate come un corno da battaglia. Ora viene posta l'attenzione su di un altro simbolo di possibile vittoria dei Pandava, l'emblema del dio-scimmia Hanuman, dispiegato sullo stendardo di Arjuna. L'invincibile Hanuman. Il rimando è all'altro grande poema epico dell'antichità indiana, il Ramayana, che narra come il generale Hanuman, a capo di un esercito di scimmie, sconfisse tutti i nemici e riconsegnò Sita al suo amato Rama a cui era stata rapita. Arjuna e Hanuman si sono in realtà incontrati in una prima occasione, nella quale Arjuna aiutò il dio-scimmia, manifestazione di Shiva, con il suo ingegno, consigliando di costruire un ponte di frecce anzichè di pietre. Dopo di ciò, Hanuman, fiero luogotenente di Rama, riconobbe l'identità tra Krishna e Rama, entrambi sono infatti avatar del dio Vishnu e promise di aiutare Arjuna quando si fosse reso necessario. 
Krishna in questa particolare circostanza viene chiamato Hrisikesam, colui che controlla i sensi. I sensi sono spesso paragonati a dei cavalli indomiti e Krishna nella Gita è colui che guida il cocchio, che soggioga i cavalli, chiudendo la metafora.
Arjuna ha dalla sua Krishna, ovvero Vishnu, come consigliere e Hanuman, ovvero Shiva, come forza militare, egli ha dalla sua la massima potenza immaginabile.



Bg. 1.21-22
अर्जुन उवाच
सेनयोरुभयोर्मध्ये रथं स्थापय मेऽच्युत ॥ १.२१ ॥
arjuna uvāca
senayor ubhayor madhye
rathaṁ sthāpaya me ’cyuta

यावदेतान्निरिक्षेऽहं योद्‌धुकामानवस्थितान् ।
कैर्मया सह योद्धव्यमस्मिन्रणसमुद्यमे ॥ १.२२ ॥
yāvad etān nirīkṣe ’haṁ
yoddhu-kāmān avasthitān
kair mayā saha yoddhavyam
asmin raṇa-samudyame

arjunah uvaca: Arjuna disse; senayoh: degli eserciti; ubhayoh: entrambi; madhye: tra; ratham: il carro; sthapava: poni; me: mio; acyuta: o infallibile; yavat: finché; etan: tutti questi; nirikse: possa vedere; aham: io; yoddhu-kaman: desiderando combattere; avasthitan: schierati sul campo di battaglia; kaih: con chi; maya: da me; saha: insieme; yoddhavyam: devo battermi; asmin: in questo; rana: conflitto; samu-dyame: nel tentativo.

Oh Infallibile [Krishna], conduci il mio carro tra i due eserciti, così che io possa vedere bene quelli che abbiamo schierati di fronte e che vogliono combatterci, voglio osservare contro chi dovrò lottare in questa guerra che sta per iniziare.

Le divinità indiane e gli eroi, hanno una serie di nomi caratteristici con cui possono essere invocati, ora Krishna è chiamato Acyuta,  l'infallibile. Egli è comunque il coducente del cocchio e deve quindi eseguire tutti i comandi che gli vengono impartiti dall'arcere che trasporta, sebbene sia il suo Signore e Arjuna gli sia estremamente devoto. Il rapporto tra i due inizia a delinearsi come un rapporto basato su umiltà e compassione. 


Bg. 1.23
योत्स्यमानानवेक्षेऽहं य एतेऽत्र समागताः ।
धार्तराष्ट्रस्य दुर्बुद्धेर्युद्धे प्रियचिकीर्षवः ॥ १.२३ ॥
yotsyamānān avekṣe ’haṁ
ya ete ’tra samāgatāḥ
dhārtarāṣṭrasya durbuddher
yuddhe priya-cikīrṣavaḥ

yotsyamanan: coloro che stanno per combattere; avekse: fammi vedere; aham: io; ye: chi; ete: quelli; atra: qui; samagatah: riuniti; dhartarastrasya: per il figlio di Dhritarastra; durbuddheh: malvagio; yuddhe: nel combattimento; priya: bene; cikirsavah: desiderando.

Voglio vedere bene coloro che sono qui pronti a lottare, per soddisfare i desideri del figlio di Dhritarashtra dal cuore impuro.

Arjuna vuole guardare in faccia i generali dell'esercito opposto, li conosce tutti  e vuole vedere chi è impegnato in questa guerra che nessuno apparentemente desidera, se non il capo dell'opposta fazione, che ha rifiutato qualsiasi mediazione. Non è più un segreto il fatto che Duryodhana, figlio di Dhritarashtra, volesse usurpare il trono dei Pandava con le sue trame. Arjuna vuole capire le motivazione che hanno spinto tanti valorosi generali a schierarsi da questa parte del combattimento, rendendosi in qualche modo complici.


Bg. 1.24
सञ्जय उवाच ।
एवमुक्तो हृषीकेशो गुडाकेशेन भारत
सेनयोरुभयोर्मध्ये स्थापयित्वा रथोत्तमम् ॥ १.२४ ॥
sañjaya uvāca
evam ukto hṛṣīkeśo
guḍākeśena bhārata
senayor ubhayor madhye
sthāpayitvā rathottamam

sanjayah uvaca: Sanjaya disse; evam: così; uktah: rivolto a; hrisikesah: Sri Krishna; gudakesena: da Arjuna; bharata: o discendente di Bharata; senayoh: degli eserciti; ubhayoh: entrambi; madhye: nel mezzo; sthapaytva: ponendo; ratha-uttamam: lo splendido carro.

Udendo le parole di Arjuna, Krishna conduce lo splendido carro tra i due eserciti.

Arjuna è chiamato  Gudakesha, colui che vince il sonno, inteso come sonno della conoscenza, ovvero ignoranza. Krishna, come vedremo, gli permette di vincere l'ignoranza e di conoscere la vera essenza delle cose. 
Lo abbiamo omesso nella traduzione, per non appesantire il discorso, ma il verso si apre ricordandoci che è sempre il veggente Sanjaya a narrare gli accadimenti al re Dhiritarastra, chiamato in questa circostanza discendente di Bharata, evidenziando come egli abbia natali illustri ma che si sia reso indegno di questa discendenza.


Bg. 1.25
भीष्मद्रोणप्रमुखतः सर्वेषां च महीक्षिताम् ।
उवाच पार्थ पश्यैतान्समवेतान्कुरूनिति ॥ १.२५ ॥
bhīṣma-droṇa-pramukhataḥ
sarveṣāṁ ca mahī-kṣitām
uvāca pārtha paśyaitān
samavetān kurūn iti

bhismah: Bhishma; dronah: Drona; pramukhatah di fronte a; sarvesam: tutti; ca: e; mahi: della Terra; ksitam: condottieri; uvaca: disse; partha: o figlio di Pritha (Arjuna); pasyaitan: osservati; samavetan: riuniti; kurun: i Kuru; iti: così.

Poi, fermi di fronte a Bhisma a Drona, e a tutti quei sovrani, Egli disse: Oh Arjuna, osserva dunque tutti i Kuru qui radunati.

 Krishna tutto conosce e sa esattamente cosa sta angosciando Arjuna, perciò esegue i suoi ordini e lo porta di fronte ai nemici, per osservarli uno ad uno. Arjuna è chiamato da Krishna Partha, ovvero figlio di Pritha, che era la zia di Krishna, figlia di suo padre Vasudeva. Evidentemente il Dio, vuole ricordare ad Arjuna, proprio in questo momento, nel quale osservano il volto dei nemici, che anche loro sono parenti, che lui non deve quindi temere nessuno.

Bg. 1.26-27
तत्रापश्यत्स्थितान्पार्थः पितॄनथ पितामहान्
आचार्यान्मातुलान्भ्रातॄन्पुत्रान्पौत्रान्सखींस्तथा
श्वशुरान्सुहृदश्चैव सेनयोरुभयोरपि ॥ १.२६ ॥
tatrāpaśyat sthitān pārthaḥ
pitṝn atha pitāmahān
ācāryān mātulān bhrātṝn
putrān pautrān sakhīṁs tathā
śvaśurān suhṛdaś caiva
senayor ubhayor api


तान्समीक्ष्य स कौन्तेयः सर्वान्बन्धूनवस्थितान् ।
कृपया परयाविष्टो विषीदन्निदमब्रवीत् ॥ १.२७ ॥
tān samīkṣya sa kaunteyaḥ
sarvān bandhūn avasthitān
kṛpayā parayāviṣṭo
viṣīdann idam abravīt

tatra: là; apasyat: vide; sthitan: in piedi; parthah: il figlio di Pritha (Arjuna); pitrin: padri; atha: e anche; pitamahan: nonni; acaryan: maestri; matulan: zii materni; bhratrin: fratelli; putran:figli; pautran: nipoti; sakhin: amici; tatha: anche.
svasuran: suoceri; suhridah: amici benevoli; ca: e; eva: certamente; senayoh: gli eserciti; ubhayoh: i due; api: anche; tan: loro; samiksya: vedendo; sah: lui; kaunteyah: il figlio di Kunti (Arjuna); sarvan: tutti; bandhun: legati tra loro; avasthitan: posizionati.
kripaya: dalla compassione; para: suprema/ trascendentale; ayavishtah: pervaso; visidan: tristezza; idam: questo; abravit: disse;

Arjuna vede ora schierati nei due eserciti padri e avi, precettori, zii materni, fratelli, figli e nipoti, tutte persone legate fra loro da vincoli d’amicizia e di parentela. 
Sono pervaso da profonda tristezza e suprema compassione, disse Arjuna.

Arjuna è ora tra i due eserciti, e riesce a vedere chiaramente le due fazioni, tra le quali ha moltissimi parenti, la lotta di successione avviene in verità tra due fazioni di cugini ed è quindi normale che sia così, ma anche molti maestri e amici. Ed ecco che si fanno strada nel cuore del protagonista una profonda tristezza, sentimento doloroso e spiacevole, ed anche estrema compassione ovvero il sentimento di pietà nei confronti di chi è o sarà infelice. E' un dato di fatto che dopo questa battaglia molti avranno la vita distrutta. Arjuna potrebbe essere fomentato dal desiderio di vendetta, avendo patito molte sofferenze ed ingiustizie oppure dalla volontà di ristabilire la giustizia sul regno, ma così non è. Egli è un giusto e vedendo che questa guerra fratricida è ormai inevitabile soffre per le inevitabili conseguenze dannose che porterà a molti dei suoi protagonisti.


Bg. 1.28-29-30
अर्जुन उवाच ।
दृष्ट्वेमं स्वजनं कृष्ण युयुत्सुं समुपस्थितम्
सीदन्ति मम गात्राणि मुखं च परिशुष्यति ॥ १.२८ ॥
arjuna uvāca
dṛṣṭvemaṁ sva-janaṁ kṛṣṇa
yuyutsuṁ samupasthitam
sīdanti mama gātrāṇi
mukhaṁ ca pariśuṣyati

वेपथुश्च शरीरे मे रोमहर्षश्च जायते ।
गाण्डीवं स्रंसते हस्तात्त्वक्चैव परिदह्यते ॥ १.२९ ॥
vepathuś ca śarīre me
roma-harṣaś ca jāyate
gāṇḍīvaṁ sraṁsate hastāt
tvak caiva paridahyate

न च मे शक्नोम्यवस्थातुं भ्रमतीव मनः ।
निमित्तानि च पश्यामि विपरीतानि केशव ॥ १.३० ॥
na ca śaknomy avasthātuṁ
bhramatīva ca me manaḥ
nimittāni ca paśyāmi
viparītāni keśava

 arjunah: Arjuna; uvaca: disse; dristva: vedendo; imam: questi; sva: propri (cari); janam: persone; krisna: o Krishna; yuyutsum: desiderosi di combattere;
samupasthitam: presenti.
sidanti: vengono meno; mama: mie; gatrani: membra; mukham: bocca; ca: e; parisushyati: completamente secca; vepathus: tremiti; ca: e; sarire:
corpo; me: mio; roma harshah: i peli ritti; ca: e; jayate: diventa. 
gandivam: Gandiva (l'arco); sramsate: scivola; hastat: dalla mano; tvak: la pelle; ca: e; eva: certamente; paridahyate: brucia; na: non; ca: e;
saknomy: sono capace; avasthatum: di restare; bhramati: è confusa; eva: certamente; ca: e; me: la mia; manah: mente.

Oh Krishna, vedendo questa mia gente animata da un tale desiderio di guerra, sento le mie membra tremare e la bocca seccarsi, un brivido mi pervade il corpo, mi si drizzano i peli, il mio arco scivola dalla mano, la mia pelle è ardente e non riesco più a stare in piedi, la mia mente è presa da un vortice, prevedo avvenimenti funesti.

La compassione di Arjuna nei confronti di amici e parenti è anche dovuta alla loro mancanza di pietà e quindi in ultima analisi di devozione. L'uomo saggio e devoto ha pietà per la sofferenza, trema e piange, questi non sono sintomi di debolezza, ma di animo puro. Oltre a ciò, sembra però farsi strada nel cuore del nostro protagonista anche la paura, rappresentata dal tremare del corpo e dallo scivolare dell'arco dalle mani. Si sono versati fiumi d'inchiostro nella polemica tra scuole esegetiche se Arjuna abbia paura o meno. Bisogno capire cosa intendiamo con paura. La paura che invade Arjuna è quella di uccidere i propri cari e ricavarne cattivo karma, non per se stesso, egli è disposto a morire in qualsiasi momento. In questo Arjuna non sembra però un uomo perfettamente realizzato che ha raggiunto il samadhi, la suprema illuminazione, ma ancora attaccato ad alcuni aspetti materiali della vita. Egli ha paura della sofferenza e della morte, seppure altrui. Perde il controllo di sè, è influenzato eccessivamente dagli avvenimenti materiali. Anche nel caso di vittoria prevede che questa sia per lui funesta. "Perchè sono qui?" sembra chiedersi. In qualità di devoto, di uomo illuminato, non dovrebbe pensare al suo interesse personale e anteporlo a tutto, ma dovrebbe lasciarsi guidare da Krishna per andare in contro al suo vero interesse spirituale.
Il percorso con Krishna descritto nella Bhagavad Gita, servirà proprio a fargli raggiungere questa illuminazione spirituale che in questo momento manca.



Bg. 1.31-32-33-34-35
न च श्रेयोऽनुपश्यामि हत्वा स्वजनमाहवे ।
न काङ्क्षे विजयं कृष्ण न च राज्यं सुखानि च ॥ १.३१ ॥
na ca śreyo ’nupaśyāmi
hatvā sva-janam āhave
na kāṅkṣe vijayaṁ kṛṣṇa
na ca rājyaṁ sukhāni ca
 
किं नो राज्येन गोविन्द किं भोगैर्जीवितेन वा ।
येषामर्थे काङ्क्षितं नो राज्यं भोगाः सुखानि च ॥ १.३२ ॥

kiṁ no rājyena govinda
kiṁ bhogair jīvitena vā
yeṣām arthe kāṅkṣitaṁ no
rājyaṁ bhogāḥ sukhāni ca

त इमेऽवस्थिता युद्धे प्राणांस्त्यक्त्वा धनानि च ।
आचार्याः पितरः पुत्रास्तथैव च पितामहाः ॥ १.३३ ॥
ta ime ’vasthitā yuddhe
prāṇāṁs tyaktvā dhanāni ca
ācāryāḥ pitaraḥ putrās
tathaiva ca pitāmahāḥ

मातुलाः श्वशुराः पौत्राः श्यालाः सम्बन्धिनस्तथा ।
एतान्न हन्तुमिच्छामि घ्नतोऽपि मधुसूदन ॥ १.३४ ॥
 mātulāḥ śvaśurāḥ pautrāḥ
śyālāḥ sambandhinas tathā
etān na hantum icchāmi
ghnato ’pi madhusūdana

अपि त्रैलोक्यराज्यस्य हेतोः किं नु महीकृते ।
निहत्य धार्तराष्ट्रान्नः का प्रीतिः स्याज्जनार्दन ॥ १.३५ ॥
api trailokya-rājyasya
hetoḥ kiṁ nu mahī-kṛte
nihatya dhārtarāṣṭrān naḥ
kā prītiḥ syāj janārdana


nimittani: causa di sofferenza/ strumento; ca: e; pasyami: vedo; viparitani: opposti; kesava: O Keshava; na: non; ca: e; sreyah: buoni risultati; anupasyami: vedo; hatva: uccidendo; sva janam: i propri (familiari e amici); ahave: in battaglia.
 na: non; kankse: desidero; vijayam: vittoria; krisna: o Krishna; na: non; ca: e; rajyam: il regno; sukhani: le gioie; ca: e; kim: che cosa; no: per noi; rajyena: con un regno; govinda: o Govinda; kim: che cosa; bhogair: con i piaceri; jivitena: con la vita; va: persino.
 yesam: per loro; arthe: per il bene; kanksitam: desiderato; nah: da noi; rajyam: il regno; bhogah: il piacere; sukhani: le gioie; ca: e; te: loro; ime: questi; avasthita: situati; yuddhe: in battaglia; pranan: la vita; tyaktva: lasciando; dhanani: le ricchezze; ca: e.
 acaryah: maestri; pitarah: padri; putrah: figli; tatha: anche; eva: certamente; ca: e; pitamahah: nonni; matulah: zii materni; svasurah: suoceri; pautrah: nipoti; syalah: cognati; sambandhinah: legati tra loro (dall'affetto); tatha: anche.
etan: questi; na: non; hantum: uccidere; icchami: io desidero; ghnatah: essere uccisi; api: nemmeno; madhusudana: o uccisore di Madhu; api: persino; trailokya: i tre mondi rajyasya: del regno; hetoh: causa; kim nu: che cosa (dire di); mahi krite: per la terra.

Vedo solo funesti presagi oh Krishna, non vedo quale bene potrebbe venire se io colpirò in battaglia questi miei parenti. Io non desidero né la vittoria, né il regno, né la felicità. A che può giovarci il regno, le gioie e anche la vita, oh Govinda, quando coloro per i quali io desidero questo sono qui schierati per combatterci, pronti a sacrificare le loro proprietà e la vita stessa? Maestri, padri e figli, zii materni, suoceri, nipoti, cognati e parenti acquisiti. Tutti costoro io non li voglio uccidere, neanche se stessero per uccidere me. Nemmeno per ottenere il regno sui tre mondi, tanto meno per un regno sulla Terra.


Arjuna sembra aver dimenticato perfino il codice morale dello kshatriya, del guerriero, a cui ha dedicato tutta la vita. Secondo questo codice cadere in battaglia costituisce la massima elevazione, al pari di dedicare la vita alla ricerca spirituale. In qualità di guerriero la sua vita ha senso solamente al servizio di un regno e di un principe, ma in questo momento il regno non esiste e l'unica alternativa sarebbe ritirarsi nella foresta, venendo meno al suo giuramento, oppure battersi per conquistare questo regno lasciato in eredità da suo padre.
Krishna è chiamato Govinda, il signore delle vacche, ma anche il signore da cui proviene ogni piacere, per sottolineare come lui dovrebbe capire questi sentimenti di negatività e di tristezza. La compassione che Arjuna prova per i membri della sua famiglia e della sua comunità, gli impedisce di combattere, ed è una manifestazione del suo profondo affetto per loro. Tutti vogliono mostrare la propria gloria ai parenti e agli amici, ma Arjuna teme di non poterla condividere con nessuno nemmeno dopo la vittoria, perché tutti i suoi parenti e i suoi amici moriranno sul campo di battaglia. Questo calcolo è tipico della vita materiale, ma non trova posto nella vita spirituale. Arjuna non è disposto in questo momento ad uccidere i suoi amici nemmeno se questo fosse il volere di Vishnu. Ma non anticipiamo i temi successivi.
Krishna è chiamato Madhusudana, cioè la personificazione di Vishnu che uccise il demone Madhu, sottolineando come la giustizia possa ricorrere alla violenza, quando ben motivata, come via definitiva. Questo demone infatti metteva in pericolo l'intero universo, come il principe Dhritarastra sta mettendo in pericolo l'universo dei Pandava. Spingendoci un poco oltre nell'interpretazione, l'asura, Madhu è anche la personificazione del dubbio e della confusione, Arjuna sta chiedendo a Krishna di uccidere i suoi dubbi.


Bg. 1.36
पापमेवाश्रयेदस्मान्हत्वैतानाततायिनः
तस्मान्नार्हा वयं हन्तुं धार्तराष्ट्रान्सबान्धवान्
स्वजनं हि कथं हत्वा सुखिनः स्याम माधव ॥ १.३६ ॥
pāpam evāśrayed asmān
hatvaitān ātatāyinaḥ
tasmān nārhā vayaṁ hantuṁ
dhārtarāṣṭrān sa-bāndhavān
sva-janaṁ hi kathaṁ hatvā
sukhinaḥ syāma mādhava

nihatya: uccidendo; dhartarastran: i (sostenitori di) Dhritarastra; nah: nostro; ka: quale; pritih: beneficio/ piacere; syat: (ci) sarà; janardana : o
Janardana; papam: peccato; eva: certamente; asrayet; verrà; asman: noi; hatva: uccidendo; etan: questi; atatayinah: aggressori.

Che cosa ci guadagneremo, oh Krishna, nell’uccidere i figli di Dhritarashtra che sono nostri parenti? Uccidendoli saremmo sopraffatti dalla colpa.

Per capire a fondo il discorso è necessario risalire a quale fosse la morale dei Veda. Per questi testi sacri uccidere gli aggressori non era un peccato. Queste sacre scritture dicono ad esempio esperssamente che è giusto uccidere chi avvelena una persona,  chi incendia la casa altrui, chi occupa la terra altrui, chi sac­cheggia le ricchezze altrui, chi assale con armi micidiali, e  chi rapisce la moglie di un altro. I suoi nemici si erano macchiati di tutti questi crimini o comunque, non opponendosi ad essi, li avevano avallati. Uccidere tali aggressori non è un peccato, ma, anzi, un dovere per un guerriero che deve far rispettare la legge, e non ammette esitazioni. La non violenza deve essere applicata solamente nei confronti di chi non ha gravi colpe, è questa la morale dei Veda. Il concetto di punizione è ben presente e concorde con aimsha, la non violenza. Per una persona comune sarebbe lecito uccidere questi aggressori, ma Arjuna non è un uomo comune. Egli è virtuoso per natura e vuole agire misericordiosamente verso i suoi nemici. Questo gene­re di santità non si addice però a un appartenente alla casta dei katriya. Un capo di Stato, un guerriero, può essere santo ma non codardo. Quando viene il momento egli deve combattere per l'ordine delle cose, anche se gli ripugna. Un katriya non può rifiutare una sfida al gioco o in battaglia, questo è detto dal loro codice, ben lo sappiamo; la perdita del regno da parte dei Pandava nella Mahabarata è dovuta ad una partita ai dadi. Sfidato da Duryodhana in battaglia, Arjuna non può evitare di combattere, anche se pensa che i suoi rivali siano incapaci di prevedere le conseguenze di una simile sfida. Lui invece ne prevede le conseguenze e per questo motivo non vuole accettare la sfida. Sono moltissimi gli esempi nei Veda o nei poemi epici nei quali un bhramano, un sacerdote, ricevuta un'offesa, si vndica in modo violento, sanguinario e apparentemente spropositato all'ingiuria ricevuta, ma queste opere sembrano dirci che chi comanda non può concedersi timori o compassione, deve far rispettare la legge.
Krishna è chiamato in questo verso Janardana, colui che infligge sofferenza agli uomini malvagi, rispondendo implicitamente a tutte le domande ed i dubbi che lo stesso Arjuna si sta ponendo.

Bg. 1.37-38-39
यद्यप्येते न पश्यन्ति लोभोपहतचेतसः ।
कुलक्षयकृतं दोषं मित्रद्रोहे च पातकम् ॥ १.३७ ॥

yady apy ete na paśyanti
lobhopahata-cetasaḥ
kula-kṣaya-kṛtaṁ doṣaṁ
mitra-drohe ca pātakam

कथं न ज्ञेयमस्माभिः पापादस्मान्निवर्तितुम् ।
कुलक्षयकृतं दोषं प्रपश्यद्भिर्जनार्दन ॥ १.३८ ॥
kathaṁ na jñeyam asmābhiḥ
pāpād asmān nivartitum
kula-kṣaya-kṛtaṁ doṣaṁ
prapaśyadbhir janārdana

कुलक्षये प्रणश्यन्ति कुलधर्माः सनातनाः ।
धर्मे नष्टे कुलं कृत्स्नमधर्मोऽभिभवत्युत ॥ १.३९ ॥
kula-kṣaye praṇaśyanti
kula-dharmāḥ sanātanāḥ
dharme naṣṭe kulaṁ kṛtsnam
adharmo ’bhibhavaty uta

yadi: se; api: anche; ete: essi; na: non; pasyanti: vedono; lobha: avidità; upahata: sotto la morsa della; cetasah: i loro cuori; kula-ksaya: uccidendo la famiglia; kritam: fatto; dosam: errore; mitra-drohe: in contesa con amici; ca: anche; patakam: reazioni colpevoli; katham: perché; na: non dovrebbe; jneyam: essere conosciuto; asmabhih: da noi; papat: per il peccato; asmat: questi; nivartitum: cessare; kula-ksaya: nella distruzione di una dinastia; kritam: fatto; dosam: crimine; prapasyadbhih: da coloro che possono vedere; janardana: o Krishna.
kula-ksaye: distruggendo la famiglia; pranasyanti: sono annientate: kula-dharmah: le tradizioni familiari; sanatanah: eterne; dharme: religione; naste: essendo distrutta; kulan: famiglia; kritsnam: intera; adharmah: irreligione; abhibhavati: trasforma; uta: è detto.

Non dovremmo combattere dunque contro i figli di Dhritarashtra.
Come potremmo mai essere felici uccidendo la nostra gente? Anche se essi sono accecati dalla cupidigia, e non vedono niente di male nel distruggere la famiglia e nel tradire gli amici, perché noi che chiaramente vediamo una colpa in questa distruzione non dovremmo astenerci da questo male?


Arjuna si sta convincendo definitivamente a non combattere, se i componenti della fazione opposta sono così empi da non vedere le conseguenze negative, il cattivo karma, che certamente deriveranno, sta a loro, più saggi evitare il conflitto. Ancora una volta questo non è il modo di parlare di un capo, di un guerriero, lui si dovrebbe preoccupare del benessere delle genti e della giustizia del governo. Entrambe questi aspetti sarebbero messi in pericolo ben maggiore dallo sfuggire la guerra. Con la guerra si avrebbe almeno una possibilità, con la vittoria, affinchè la giustizia trionfi, se la vita dei generali ne sarà migliorata o meno è una fatto di secondo piano, poco importante.



Bg. 1.40
अधर्माभिभवात्कृष्ण प्रदुष्यन्ति कुलस्त्रियः ।
स्त्रीषु दुष्टासु वार्ष्णेय जायते वर्णसङ्करः ॥ १.४० ॥
adharmābhibhavāt kṛṣṇa
praduṣyanti kula-striyaḥ
strīṣu duṣṭāsu vārṣṇeya
jāyate varṇa-saṅkaraḥ

Con la distruzione della famiglia si perderà anche l’ordine sacro
che la governa, così pure i riti della spiritualità, allora l’empietà
dominerà ogni casata.

Arjuna, terminate le argomentazioni a non combattere dovute alla pietà e alla compassione, entra in un altro campo da gioco. Afferma che la battaglia e le uccisioni che ne deriveranno metterà in crisi il sistema della varnashrama-dharma, ovvero l'ordine familiare e sociale voluto dagli dei, comprendente la divisione in caste, o, come spesso viene chiamato, la suddivisione degli uomini secondo le loro attitudini, nonchè porterà crisi in tutte le fasi della vita di ciascun individuo, comprensive dei diversi doveri familiari. Se questo sistema entrerà in crisi, l'essenza stessa della società e della famiglia saranno gettati nel kaos.
Questo spostamento dell'attenzione in questo nuovo territorio, compiuto da Arjuna, fa in verità acqua da molte parti. E' proprio il varnashrama-dharma, l'ordine sacro sociale costituito, che impone ad Arjuna di combattere. Egli ha il dovere di non lasciare il governo a chi non ne è degno e si è macchiato di varie aggressioni e peccati nei confronti della legge degli dei. Detto questo, tutte le sciagure che egli paventa nei successivi versi sono interpretabili esattamente al contrario, se lui non combatterà ed affermerà in questo modo il governo dei guerrieri virtuosi, saranno proprio questi mali ad abbattersi sulle popolazioni, sulle famiglie e sull'ordine sacro voluto dagli dei. 

Bg. 1.41-42
सङ्करो नरकायैव कुलघ्नानां कुलस्य च ।
पतन्ति पितरो ह्येषां लुप्तपिण्डोदकक्रियाः ॥ १.४१ ॥
saṅkaro narakāyaiva
kula-ghnānāṁ kulasya ca
patanti pitaro hy eṣāṁ
lupta-piṇḍodaka-kriyāḥ


दोषैरेतैः कुलघ्नानां वर्णसङ्करकारकैः ।
उत्साद्यन्ते जातिधर्माः कुलधर्माश्च शाश्वताः ॥ १.४२ ॥
doṣair etaiḥ kula-ghnānāṁ
varṇa-saṅkara-kārakaiḥ
utsādyante jāti-dharmāḥ
kula-dharmāś ca śāśvatāḥ

 sankarah: tale prole indesiderata, narakaya: fatta per una vita infernale; eva: certamente; kula-ghnanam: per coloro che uccidono la famiglia; kulasya: per la famiglia; ca: anche; patanti: caduta: pitarah: antenati; hi: certamente; esam: di loro; lupta: interrotta; pinda: di offerte di cibo; udaka: e acqua; kriyah: il compimento.
 dosaih: per tali colpe; etaih: tutti questi; kula-ghnanam: dei distruttori della famiglia; varna-sankara: di figli non desiderati; karakaih: che sono causa; utsadyante: sono annientati; jati-dharmah: i progetti della comunità; kula-dharmah: tradizioni familiari; ca: anche; sasvatah: eterni.

Quando poi domina il disordine, oh Krishna, le donne si corrompono, e dalla degradazione delle donne nasce una prole indesiderata.
Questo genera confusione e crea una vita d’inferno nella società, nella famiglia e per quelli che ne hanno distrutto le tradizioni. Non verranno più nemmeno fatte offerte di cibo e d’acqua agli antenati.

La corruzione delle donne dovuta al kaos viene interpretata in modo fortemente maschilista da molti commentari, come tendenza delle donne a lasciarsi corrompere, eccetera. Non saranno certamente queste le categorie che guideranno il nostro commento. Come dicevamo Arjuna afferma che la distruzione interna alla famiglia dei regnanti dovuta alla battaglia tra i due gruppi di cugini che si contendono il regno, getterà il paese nel kaos in quanto i valori familiari sono quelli che governano il mondo e sono l'essenza stessa della devozione verso le divinità. Seppure volutamente l'autore della Gita sta portando il lettore ad avere empatia nei confronti di Arjuna, a comprendere queste giustificazioni e a ritenere la guerra il male supremo, come dicevamo, questo ragionamento ha molti limiti ed è spinto in ultima analisi da principi egoistici e materiali.
Le offerte agli antenati sono compiute generalmente con l'intermediazione di Vishnu, ciò che avanza nel rituale verso la divinità, il residuo di cibo e acqua, chiamato prasadam, è offerto agli avi, per migliorare il loro karma. Arjuna ha davanti Vishnu stesso, il suo avatar Krishna, chi quindi meglio di lui potrà rispondere a queste osservazioni?

Bg. 1.43-44
उत्सन्नकुलधर्माणां मनुष्याणां जनार्दन ।
नरकेऽनियतं वासो भवतीत्यनुशुश्रुम ॥ १.४३ ॥
utsanna-kula-dharmāṇāṁ
manuṣyāṇāṁ janārdana
narake niyataṁ vāso
bhavatīty anuśuśruma

अहो बत महत्पापं कर्तुं व्यवसिता वयम् ।
यद्राज्यसुखलोभेन हन्तुं स्वजनमुद्यताः ॥ १.४४ ॥
aho bata mahat pāpaṁ
kartuṁ vyavasitā vayam
yad rājya-sukha-lobhena
hantuṁ sva-janam udyatāḥ

utsanna: distrutte; kula-dharmanam: di coloro che hanno le tradizioni familiari; manusyanam: di tali uomini; janardana: o Krishna; narake: nell’inferno; niyatam: sempre; vasah: residenza; bhavati: accade che; iti: così; anususruma: ho saputo da fonte autorizzata.
aho: ahimè; bata: com’è strano; mahat: grandi; papam: colpe; kartum: compiere; vyavasitah: siamo decisi; vayam: noi; yat: perché; rajya-sukha-lobhena: per la brama dei piaceri della sovranità; hantum: uccidere; sva-janam: i parenti; udyatah: tentando.

Per colpa di questi distruttori di famiglie si genera confusione tra gli ordini sociali, e si causa la rovina delle antiche tradizioni che le governano.
Abbiamo sentito molte volte negli insegnamenti, che gli uomini distruttori delle tradizioni spirituali, finiranno sicuramente in un abisso.

Arjuna le sta provando un po' tutte per dare consistenza al suo discorso, finite le argomentazioni relative al kaos familiare, afferma ora che la guerra porterà alla distruzione delle tradizioni. Non essendo i sacerdoti brahmani coinvolti dalla battaglia, capiamo tutti i limiti logici di questa motivazione: il disgregamento del legame tra i vincoli di amicizia e parentela, suoi personali, o comunque dei regnanti che si fronteggiano, difficilmente potrà intaccare l'ordine sociale costituito e, meno che mai, quello delle tradizioni religiose ancestrali.
Come ultima freccia al suo arco, fa appello alle sacre scritture, sovrapponendo però i "distruttori delle tradizioni spirituali" ai guerrieri, parallelo che non sta in piedi, la battaglia è tra eserciti e poco c'entra la persecuzione delle tradizioni spirituali. Il discorso di Arjuna appassiona, ha tutto il nostro appoggio, chi, saggio, non ripudia la guerra? ma logicamente non convince, la guerra scongiurerà un male peggiore: fare cadere il paese e i suoi sudditi sotto il regno di una dinastia empia.

Bg. 1.45-46
यदि मामप्रतीकारमशस्त्रं शस्त्रपाणयः ।
धार्तराष्ट्रा रणे हन्युस्तन्मे क्षेमतरं भवेत् ॥ १.४५ ॥
yadi mām apratīkāram
aśastraṁ śastra-pāṇayaḥ
dhārtarāṣṭrā raṇe hanyus
tan me kṣema-taraṁ bhavet

सञ्जय उवाच ।
एवमुक्त्वार्जुनः संख्ये रथोपस्थ उपाविशत्
विसृज्य सशरं चापं शोकसंविग्नमानसः ॥ १.४६ ॥
sañjaya uvāca
evam uktvārjunaḥ saṅkhye
rathopastha upāviśat
visṛjya sa-śaraṁ cāpaṁ
śoka-saṁvigna-mānasaḥ

yadi: anche se; mam: me; apratikaram: senza resistere; asastram: senza essere pienamente equipaggiato; sastra-panayah: quelli con le armi in pugno; dhartarastrah: i figli di Dhritarastra; ran: sul campo di battaglia; hanyuh: possano uccidere; tat: che; me: per me; ksema-taram: meglio; bhavet: sarebbe.
sanjayah uvaca: Sanjaya disse; evam: così; uktva: dicendo; arjunah: Arjuna; sankhye: nella battaglia; ratha: del carro; upasthe: sul seggio; upavisat: si sedette di nuovo; visrjya: mettendo da parte; sa-saram: con le frecce; capam: l’arco; soka: dal lamento; samvigna: oppressa; manasah: nella mente.


Ohimè, eravamo pronti a commettere un grande crimine, spinti
solo dalla cupidigia di godere dei piaceri della regalità.
La fine migliore per me sarebbe che i figli di Dhritarashtra,
con le armi in pugno, dovessero uccidermi disarmato e senza che io
opponga resistenza.


Arjuna si getta infine nella disperazione più totale, crede che il solo motivo per combattere sia il desiderio di beni materiali e del potere. Il suo ultimo dubbio riguardano le motivazioni della guerra. Arriva ad una visione talmente negativa del futuro da dire di volere morire senza combattere, quasi sacrificandosi volontariamente. Egli sta sfiorando l'empietà nei confronti del valore sacro  della giustizia, nonchè verso il codice sacro, di origine divina, che deve giudare ogni uomo ed in particolare un guerriero.

Questo è ovviamente il prologo a tutta l'opera, i capitoli successivi ci dimostreranno quanto siano sbagliate e banali queste parole e lo stesso Arjuna, grazie a Krishna, somma divinità, ma anche suo amico e consigliere, sarà portato verso un percorso di crescita spirituale attraverso il quale abbandonerà questa visione materialistica e di poco valore.
Ricordiamoci che la battaglia che qui si sta compiendo,  rappresenta anche, ma non solamente, i dissidi interiori di tutti noi. Combattere per affermare il bene maggiore è un nostro dovere. Ma questo lo vedremo in seguito.


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