Hata Yoga Pradipika, II° libro: esercizi di respirazione, pranayama e nadi shodana [HYP2:1-13]
novembre 27, 2018di Marco Sebastiani
Il secondo libro dell'Hata Yoga Pradipika si occupa della purificazione dei canali corporei in cui scorre il prana, mediante esercizi di controllo dell'energia, attraverso il respiro e, in seguito, mediante altre pratiche depuranti. E' superfluo ricordare che l'energia a cui si fa riferimento è di natura fisica o grossolana, ma anche mentale e spirituale, o sottile, come solitamente viene chiamata. Sarebbe più corretto dire le energie, poiché, come vedremo, la natura di questa sostanza è molteplice.
Per quanto oggi con il termine Hata Yoga si intenda uno stile di yoga sbilanciato sugli aspetti fisici e sulle asana, quello che invece è il testo fondante dell'Hata Yoga tradizionale, l'Hata Yoga Pradipika, dedica grande risalto e attribuisce grandissima importanza al pranayama. Se per Patanjali asana e pranayama sembravano due aspetti integrati della medesima pratica, nell'opera di Svatmarama, sono due gradini successivi. Solamente dopo essere entrati in profondità con le asana ed averne padroneggiato gli elementi costitutivi, è possibile passare agli esercizi di controllo dell'energia tramite la respirazione.
Il controllo dell'energia attraverso il respiro viene considerato da alcuni maestri, anche in tempi recenti, una scienza potente e pericolosa. Ancora alla fine del '900, nel suo trattato sul pranayama, il maestro Iyengar avvertiva che una scorretta esecuzione delle tecniche potesse essere nociva e causare persino la morte. Forse per questa ragione, molti maestri Indiani, anche famosi, non hanno mai insegnato il pranayama ai loro allievi occidentali, se non nelle forme più elementari. Nella più famosa scuola di Mysore, solamente dopo tre o quattro anni di pratica giornaliera, è usuale insegnare il primo esercizio di pranayama, nadi shodana, che vedremo di seguito, in una versione molto semplificata. Ma, nello stesso contesto, alcuni allievi, anche decennali, giurano di non aver mai ricevuto indicazioni su esercizi di respirazione al di fuori della pratica delle asana. In altre scuole, da Nord a Sud dell'India, al contrario, dal primo giorno di apprendistato sulla via dello yoga, sono insegnate le asana, il pranayama e la meditazione. Questi due indirizzi sembrano coincidere con l'Hata yoga tradizionale, secondo cui Svwatmarama sconsiglia di dedicarsi al pranayama prima di padroneggiare le asana, e il Raja yoga di Patanjali, per il quale gli otto rami sono di paritetica importanza e compenetrati l'un l'altro. Ricorderemo che Svatmarama aveva affermato che per raggiungere i risultati più alti, l'illuminazione, fossero necessari dodici anni di pratica.
athāsane dr̥dhe yogī vaśī hita-mitā-aśanaḥ ।
guru-upadiṣṭa-mārgeṇa prāṇāyāmān samabhyaset ॥
HYP2:1 Quando lo yogin ha raggiunto la stabilità nelle posizioni, ha acquisito il controllo dei sensi e una dieta moderata, allora dovrebbe praticare le tecniche di controllo dell'energia, pranayama, sotto la diretta guida di un maestro.
Come dicevamo, l'arte del pranayama deve essere approcciata solamente quando si abbia una certa maestria, una stabilità nelle asana. Il termine utilizzato per "stabilità" è dr̥dhe, da dṛḍha (दृधे), fermo, solido, resistente, costante, non sthira o sukha come in Patanjali: YSII:46. sthira sukham asanam, (le asana, sono stabili e comode). Il concetto è simile, ma si allude più all'equilibrio fisico, alla fissità e profondità della posizione, che non alla stabilità mentale e spirituale. Nell'Hata Yoga di Svatmarama i vari elementi costitutivi sono distinti e richiedono una crescente esperienza.
Le asana avranno contribuito ad acquietare i sensi e soprattutto avranno spinto l'aspirante yogin ad adottare una dieta moderata. Questo aspetto della morigeratezza dell'alimentazione è forse il tema ripetuto con maggiore insistenza dall'autore. Come dicevamo, seppure molto attuale, questa insistenza fa sorridere e sottolinea il tono poco elevato dell'intera opera, un manuale concreto per praticanti di estrazione comune, non un'opera filosofica per i maestri, come erano invece i sutra di Patanjali. La raccomandazione di praticare esclusivamente sotto la tutela di un maestro ci da la conferma che l'opera non fosse pensata per i guru o per i sannyasin esperti, i rinunciatari che dedicano la vita alla ricerca spirituale. Questo aspetto può essere considerato un difetto, enfatizzando la scarsa levatura, ma anche un pregio, l'opera è infatti subito accessibile e comprensibile da chiunque, non necessita di grandi interpretazioni e, per quanto possibile, appare di senso comune. A giudizio di chi scrive, insieme ai sutra di Patanjali costituiscono un binomio d'eccezione, gettando luce l'una su molti aspetti dell'altra, vicendevolmente. Altri testi tantrici, come la Gherada Samita o la Shiva Samita, le altre cosiddette perle del tantra, sono molto più ermetici e criptici, chiamano costantemente in causa la divinità ed in fin dei conti sono meno concreti.
cale vāte calaṁ cittaṁ niścale niścalaṁ bhavet |
yogī sthāṇutvam āpnoti tato vāyuṁ nirodhayet ||
HYP2:2 Quando il respiro è irregolare la mente è instabile. Quando il respiro è immobile, la mente è calma e lo Yogin raggiunge l'armonia interiore. Questo si ottiene trattenendo il respiro.
Lo scopo del pranayama è indicato subito ed è quello di calmare i pensieri. Il respiro è il primo tramite per l'assimilazione e la gestione dell'energia, prana. L'autore sta evidenziando l'incontrovertibile e banale collegamento tra stati d'animo e ritmo del respiro. Quando siamo emozionati, spaventati, in ansia oppure anche molto felici, il respiro diventa corto e inspirazione ed espirazione hanno una durata molto differente l'una dall'altra.
Al contrario una respirazione molto lenta e regolare è sintomo di equilibrio delle emozioni. La tranquillità mentale porta ad una respirazione regolare, ma anche viceversa, una respirazione lenta induce la mente a stabilizzarsi.
Seppure elementare, il concetto richiama la tradizione ayurvedica secondo la quale il prana tra i vari poteri ingeneranti e creativi, ha quello di stimolare i pensieri, se non indirizzato più opportunamente. Vrtti, le oscillazioni della mente il cui scopo dello yoga di Patanjali era l'acquietamento, è proprio il vortice dell'energia dei pensieri. Gli esercizi di pranayama decongestionano i canali energetici e indirizzano il prana non più ai pensieri, ma ai passi successivi dello yoga, come la meditazione o il samadhi.
yāvad vāyuḥ sthito dehe tāvaj jīvanam ucyate ।
maraṇaṁ tasya niṣkrāntis tato vāyuṁ nirodhayet ||
HYP2:3 Fino a che l'energia rimane nel corpo, questo è vivo. Quando lo abbandona muore. Pertanto bisogna incanalare opportunamente l'energia.
mala-akalāsu nāḍīṣu māruto naiva madhya-gaḥ ।
kathaṁ syād unmanī-bhāvaḥ kārya-siddhiḥ kathaṁ bhavet ||
HYP2:4 Quando le nadi sono ostruite dalle impurità, l'energia non fluisce nel centro. Come sarà allora possibile raggiungere il nostro obiettivo? e come si avrà successo nella pratica?
śuddham eti yadā sarvaṁ nāḍī-cakraṁ malākulam ।
tada-iva jāyate yogī prāṇa-saṁgrahaṇe kṣamaḥ ॥
HYP2:5 Devono essere purificati i canali, nadi, e i centri energetici, chakra, affinchè l'energia scorra libera e lo yogin acquisisca la capacità di preservare l'energia vitale.
prāṇāyāmaṁ tataḥ kuryān nityaṁ sāttvikayā dhiyā ।"
yathā suṣumṇā-nāḍīsthā malāḥ śuddhiṁ prayānti ca ॥6॥
HYP2:6 Pertanto il pranayama deve essere praticato quotidianamente con animo puro, in modo che le impurità che ostruiscono il canale energetico centrale, susumna, siano eliminate.
Tutti noi sappiamo che il respiro è vita, ma la vita non cessa perchè cessa il respiro, semmai viceversa. Ancora oggi per la medicina Occidentale non è chiarissimo il perché cessi la vita e cosa tenga in vita le cellule. La tradizione indiana afferma che l'energia vitale ci permette di respirare e ci mantiene in vita. Questa forza è connessa con l'energia che pervade il mondo ed esistono vari esercizi per incanalarla nel corpo e gestirla al fine di prolungare e migliorare la qualità della vita.
In estrema sintesi, per l'ayurveda, la medicina tradizionale indiana, il corpo è percorso da moltissimi canali, nadi, che veicolano i vari tipi di energia. Alternati a questi canali ci sono dei centri o ruote energetiche, chakra, che svolgono compiti particolari relativi questa energia. Lungo la colonna vertebrale ci sono i tre canali principali, tra i quali sushumna, svolge il ruolo primario, ma deve essere alimentato dal bilanciamento degli altri due, Ida, portatrice dell'energia tiepida lunare chandra e pingala che invece veicola l'energia solare surya [contronta I bandha, una visione complessiva > Prana e nadi]. Lo yoga ha lo scopo di rimuovere le impurità che non permettono all'energia di scorrere liberamente, alimentare ed equilibrare i vari principi energetici, facoltà che in ultima analisi permetteranno di raggiungere i doni più elevati della pratica.
Il pranayama deve essere praticato tutti i giorni, presumibilmente dopo le asana, anche se questa successione non è esplicitata, è una congettura. L'opera sembra fin dall'inizio seguire il filo logico di una sessione di pratica, così è stato per le asana e così sembra procedere anche in questo caso. D'altronde, siamo spinti a presupporre questo perché una preparazione fisica adeguata permette di approcciarsi più comodamente alle posizioni sedute che vedremo consigliate e che una buona espansione polmonare e l'attivazione di tutti i muscoli inspiratori ed espiratori favoriscano un più completo lavoro di pranayama. In questo modo il prana, incontrando minori ostacoli, nel tempo, inizierà a fluire gradualmente verso l'alto da un chakra al successivo. In alcuni passaggi successivi vedremo però che si allude a nadi shodana, il primo esercizio proposto, anche come una pratica da svolgere, forse, da sola. Personalmente, non sono privo di dubbi in merito.
Deve inoltre essere praticato con animo puro, sattvico. Il termine sāttvikayā rimanda ai tre guna, le qualità che compongono l'universo e gli individui. I guṇa sono i tre componenti ultimi della prakṛti, principio della creazione, attivo, responsabile dell'evoluzione di tutto ciò che nell'universo è manifesto, materiale e mentale. I tre guna sono appunto: rajas (instabilità, attività, desiderio) sattva (virtuosità, purezza, luminosità, saggezza), tamas (torpore, ignoranza, indolenza). Come dicevamo questi tre principi regolano tutto l'universo animato e inanimato, percui non ci dilungheremo nei mille rivoli che ne scaturiscono. Basti qui ricordare come sia raccomandato di approcciarsi al pranayama con animo virtuoso e luminoso, non pigro o indolente, ma neanche frenetico e instabile.
Entriamo ora nel merito del primo esercizio di pranayama.
baddha-padmāsano yogī prāṇaṁ candreṇa pūrayet |
dhārayitvā yathā-śakti bhūyaḥ sūryeṇa recayet||
HYP2:7 Nella posizione del loto chiuso, baddha padmasana, lo yogi deve inspirare l'energia vitale attraverso la narice sinistra, la Luna, e dopo aver trattenuto il fiato secondo le proprie forze, deve espirare nuovamente attraverso la narice destra, il Sole.
prāṇaṁ sūryeṇa cākr̥ṣya pūrayed udaraṁ śanaiḥ ।
vidhivat kumbhakaṁ kr̥tvā punaś candreṇa recayet ॥
HYP2:8 E quando si inspira nuovamente dalla narice destra, lo yogi deve riempire lentamente la pancia. Dopo che il respiro è stato trattenuto per lungo tempo, bisogna nuovamente espirare attraverso la narice sinistra.
yena tyajet tena pītvā dhārayed atirodhataḥ ।
recayec ca tato.anyena śanair eva na vegataḥ ||
HYP2:9 Dopo che lo yogin espira attraverso la stessa narice da cui ha inspirato, deve trattenere il fiato per il tempo massimo.
Poi deve inspirare attraverso l'altra narice molto lentamente e non in modo incontrollato.
prāṇaṁ ced iḍayā piben niyamitaṁ bhūyo.anyathā recayet
pītvā piṅgalayā samīraṇam atho baddhvā tyajed vāmayā |
sūrya-candramasor anena vidhinābhyāsaṁ sadā tanvatāṁ
śuddhā nāḍi-gaṇā bhavanti yamināṁ māsa-trayād ūrdhvataḥ ||
Svatmarama propone come primo esercizio di pranayama, una tecnica di respirazione molto nota e diffusa ai giorni nostri con il nome di Nadi Shodana, la purificazione dei canali energetici, nadi.
La tecnica viene eseguita in baddha padmasana, posizione già descritta precedentemente [ confronta Hata Yoga Pradipika: le posizioni conclusive ].
Risulta quindi chiaro come mai per praticare il pranayama sia raccomandato di avere stabilità nelle asana: padmasana è una posizione che richiede un certo tempo per essere assimilata, buona mobilità delle anche e flessibilità delle ginocchia. La posizione del loto è inoltre difficilmente sostituibile con qualsiasi altra posizione o difficilmente modificabile, se non a rischio di modificare sensibilmente tutto l'equilibrio energetico o semplicemente posturale. Il bilanciamento tra la colonna vertebrale, gli ischi, la testa e le gambe sono infatti davvero particolari e le sensazioni non replicabili altrimenti se non avendo già grande esperienza della posizione stessa.
A chi scrive non è chiarissimo come mai l'autore indichi baddha padmasana e non semplicemente padmasana. Per eseguire la prima posizione si incrociano le braccia dietro la schiena e si afferrano le punte dei piedi, mentre per la seconda le mani si adagiano semplicemente sulle ginocchia. Molti commentari indicano semplicemente padmasana, omettendo il termine che ne indica la variante più complessa. Oggi giorno nadi shodana è praticata chiudendo le narici con le dita della mano destra, cosa che sarebbe impossibile tenendo le braccia dietro la schiena, ma, come vedremo, Svatmarama non da istruzioni per chiudere con le dita le narici. L'unica cosa che mi sento di consigliare è di provare nadi shodana in baddha padmasana, senza chiudere le narici con le dita e vedere che sensazioni ci trasmette. Personalmente la trovo interessante, ma molto differente dall'esecuzione "classica".
Si procede quindi nell'inspirare ed espirare in modo controllato e lento alternativamente da ciascuna narice, inserendo un'apnea a polmoni pieni dopo l'inspirazione e una a polmoni vuoti dopo l'espirazione. L'apnea deve durare quanto più possibile, seppure sarà chiarito in seguito che l'esercizio deve andare avanti ininterrotamente per circa un'ora e quindi lo sforzo deve essere graduale altrimenti non si arriverà alla fine in modo continuativo. Stupisce che non sia data indicazione sull'uso dei bandha durante le apnee, ovvero la chiusura dell'addome, del pavimento pelvico e soprattutto della gola. L'autore tratterà con dovizia di particolari questo argomento in seguito e presupponiamo che quindi inizialmente nadi shodana possa essere eseguita secondo lui senza l'uso dei bandha. Potrebbe anche non essere così e Svatmarama potrebbe dare per scontato che prima di eseguire la tecnica si legga tutta l'opera, in quanto il pranayama senza i bandha, come vedremo, è difficile da immaginare.
Eseguire la tecnica senza chiudere la narice che non si sta utilizzando con le dita della mano, la rende difficile, ma non impossibile. Anche in questo caso il suggerimento è di provare. Dopo un po' di cicli nei quali ci si aiuta con le dita, è possibile non utilizzare la mano e indirizzare l'aria in una sola narice, dapprima storcendo leggermente il naso e la bocca e poi si può provare senza neppure questo ausilio.
Inspirando bisogna riempire il ventre, testuale, udara ( उदर ) . La maggior parte dei commentari omettono invece il termine addome oppure traducono con "riempire i polmoni" (Pancham Sinh, Barbier, Rieker, etc.). L'indicazione sembra invece banalmente quella di iniziare l'inspirazione con la respirazione addominale, facendo scendere il diaframma, avendo l'impressione di espandere leggermente la pancia.
HYP2:10 Quando lo yogin ha ricevuto l'energia vitale attraverso il canale energetico sinistro, ida nadi, egli deve espirare attraverso l'altro. Se lo yogin ha inspirato attraverso il canale energetico destro, pingala Nadi, trattenendo il respiro, espira attraverso la narice sinistra. Se lo yogin continua in questo modo, portando il Sole e la Luna nella sua pratica, i canali energetici, vengono puliti dopo tre mesi.
prātar madhyandine sāyam ardha-rātre ca kumbhakān ।
śanair aśīti-paryantaṁ catur vāraṁ samabhyaset ॥
HYP2:11 Lo yogin dovrebbe praticare questo esercizio di respirazione con le apnee, kumbhaka, quattro volte al giorno: al mattino, all'ora di pranzo, alla sera e a mezzanotte, arrivando lentamente fino a 80 cicli.
kanīyasi bhaved sveda kampo bhavati madhyame ।
uttame sthānam āpnoti tato vāyuṁ nibandhayet ||
HYP2:12 Nella fase iniziale, lo yogin suda. Nella fase intermedia si verifica un tremore. Il praticante avanzato raggiunge la calma. Per questo scopo si deve eseguire il controllo del soffio vitale, vayu.
jalena śrama-jātena gātra-mardanam ācaret ।
dr̥ḍhatā laghutā ca-iva tena gātrasya jāyate ||
HYP2:13 Lo yogin deve strofinare il suo corpo con il sudore che si è sviluppato. Questo crea forza fisica e leggerezza allo stesso tempo.
Svatmarama non sarebbe Svatmarama, se non desse tempi esatti per il ragiungimento degli obiettivi. 12 anni per l'illuminazione, aveva detto, e solamente 3 mesi per la pulizia delle nadi. Il suo appare un atteggiamento da buon venditore, ma in un periodo nel quale esistevano molte scuole, una certa concretezza poteva aiutare a veicolare e a far prevalere il proprio messaggio. Il tempo gli ha dato sicuramente ragione, il suo testo è probabilmente il più celebre e diffuso degli ultimi 1500 anni. Tre mesi sembrano in prima analisi decisamente un arco temporale troppo breve per purificare i canali energetici attraverso nadi shodana. La pratica a cui fa riferimento l'autore è però quella tipica dei suoi tempi, completamente totalizzante. Indica infatti che il solo esercizio di nadi shodana andrebbe svolto quattro volte al giorno per 80 cicli, ovvero, tra apnee e lentezza nell'esecuzione, possiamo immaginare, per circa un'ora. Quattro ore al giorno per nadi shodana, cui vanno aggiunte le asana e tutta la pratica che vedremo in questo e nei prossimi libri. E' facile immaginare come egli si riferisca ad un praticante che si dedichi interamente alla via dello yoga, ad un sannyasin che viva abbastanza isolato e che riduca al minimo gli altri compiti da svolgere.
Con buona pace di chi afferma che nello yoga non esistono principianti e pratica avanzata, ma che d'altronde non pretendiamo sia arrivato a leggere fino a questo punto, l'Hata Yoga Pradipika identifica tre fasi nel pranayama: la prima, kanīyas ( कनीयस् ) dal comparativo di kana, piccolo, che quindi definiremo una fase minore, o iniziale, durante la quale si suda. Anche durante le asana, nei primi mesi o anni di pratica, si suda in genere molto. Tutti i maestri tradizionalisti Indiani dicono che questo sia invariabilmente il sintomo della purificazione dei canali energetici. Il sudore va strofinato sulla pelle per aumentare gli effetti energetici e purificanti. Anche questa indicazione mi è capitata di sentirla più volte durante le grandi sudate che caratterizzano la pratica in India. Il sudore è a suo modo uno degli strumenti che procedono alla purificazione, insieme a diversi tipi di energia.
Segue una fase madhyama ( मध्यम ), intermedia o centrale, durante la quale può intervenire un leggero tremore muscolare. Il parallelo con le asana è più facile da cogliere, quando già siamo solidi nelle posizioni, quando non si accelera il battito cardiaco o il fiato diventa corto, quando non sudiamo più, facilmente possiamo sperimentare questo tremore dei muscoli, prima che anch'essi si rafforzino. Nel pranayama è più difficile sudare o tremare soprattutto a temperature più fresche di quelle indiane.
Infine la terza fase di nadi shodana è uttama ( उत्तम ), la fase principale o superiore, dal superlativo di ut, durante la quale si raggiunge l'obiettivo o la stabilità. L'autore afferma che il pranayama sia praticato proprio per giungere a questa condizione, nella quale si controlla e interrompe l'energia, il soffio vitale, vayu ( वायुं ). Il concetto dell'energia vayu è approfondito in molte Upanishad (Brihadaranyaka Upanishad , etc. ) nelle quali è spiegato come questo controlli direttamente e indirettamente le funzioni fisiche. La sua personificazione è nientedimeno che il valoroso dio Vayu, signore dei venti. Questo è un concetto piuttosto importante per porre tutto il pranayama sotto la giusta luce.
Vedremo poi quali altri esercizi garantiranno la purificazione, muovendoci all'interno del corpo energetico, pranamaya kosha, verso gli altri quattro corpi, ma di questo parleremo nel prossimo articolo.
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