Mito e Yoga: Halasana, la posizione dell'aratro

febbraio 19, 2018



Halasana, la posizione dell'aratro, rimanda ad un universo simbolico e mitologico molto ricco. Haladara, colui che porta l'aratro, è una figura centrale del poema epico più antico e lungo nella storia dell'umanità: la Mahabarata. Incarnazione e avatar di Visnù, è anche il fratello maggiore di Krisna e colui che lo aiuterà a ricongiungersi con lo spirito assoluto o brahman. La posizione assunta dal corpo richiama sicuramente la forma dell'attrezzo agricolo ed in particolare i piedi sembrano assumere le sembianze del cuneo che traccia il solco del terreno, ma l'aratro stesso ha significati molto elevati e simbolici nell'universo yogico delle tradizioni.



Halandara è conosciuto maggiormente con il nome di Balarama, ovvero il forte Rama, e viene considerato il combattente più forte dell'antichità mitologica induista, dotato di una forza sia fisica che strategica, della quale tutti i nemici hanno costantemente paura. Fu maestro di guerra dei due principi sommi che si fronteggiano nella Bhagavat Gita: Duryodhana dei Kurava e Bhima dei Pandava, tanto che allo scoppiare della guerra fu tra i pochissimi personaggi a rimanere neutrale. Di contro egli è caratterizzato da alcuni elementi tipicamente agresti e legati con il mondo dell'agricoltura, tra i quali appunto, l'aratro di cui porta il nome. Questo stesso aratro si trasforma alle volte in arma contro spaventosi demoni Asura, immancabilmente sconfitti. Da una parte Krishna è il pastore, dall'altra Halandara è il contadino. La sua figura è molto antica, come testimoniato dalle effigi sulle monente nei primi secoli prima di Cristo e dalle epigrafi anche precedenti.
A questa grande forza fisica corrisponde anche una grandissima levatura morale, egli è sempre fedele alla parola data e si adopera costantemente affinchè trionfino il bene e la virtù. Anche spiritualmente la sua figura è di altissimo livello, famoso, a questo riguardo, è l'aneddoto della sua dipartita dal mondo fisico. Dopo una furiosa battaglia egli si raccolse in una profonda meditazione e la sua anima abbandonò volontariamente il corpo sotto forma di un serpente bianco. Diversi luoghi in India vengono indicati come palcoscenico di questo prodigioso evento, ad esempio il tempio principale della regione di Gurujat oppure le cave di Veraval nel medesimo Stato.

Nelle tradizioni indù, Balarama è la divinità protettrice dei contadini, foriera di conoscenza, di strumenti e di prosperità. Viene quasi sempre mostrato e descritto insieme al fratello minore Krishna. Nei testi indù, Balarama sostiene quasi sempre Krishna nella forma fisica, durante lotte e battaglia, ma anche nello spirito, consigliandolo e supportandolo. La costante associazione simbolica di Balarama con Krishna lo rende idealmente il protettore e sostenitore del dharma, la legge dell'universo, la via della virtù da seguire.


 La storia più famosa che riguarda Halandara è strettamente legata con la posizione dello yoga che porta il suo nome e riguarda la deviazione del corso del fiume Yamuna, raccontata in modo magnifico nella  Bhagavata Purana

Era primavera, la brezza sulla riva della Yamuna soffiava molto dolcemente, portando l'aroma di  diversi fiori, in particolare il fiore noto come kaumudi. Il chiaro di luna riempiva il cielo e si diffondeva ovunque e così le rive della Yamuna apparivano molto luminose e piacevoli e Balarama godeva della compagnia delle gopi, divinità simili a ninfe. Il semidio conosciuto come Varuna mandò sua figlia Varuni sotto forma di miele liquido che trasudava dalle cavità degli alberi. A causa di questo miele l'intera foresta divenne profumata con il dolce aroma del miele liquido. Varuni affascinava Balarama. Balarama e tutte le gopi furono molto attratti dal gusto di Varuni e tutti bevvero insieme. Mentre bevevano questa bevanda naturale, tutte le gopi cantavano le glorie del Signore Balarama, che si sentiva molto felice, come se fosse ubriaco della bevanda detta Varuni. I suoi occhi roteavano di piacere, era decorato con lunghe ghirlande di fiori di foresta e l'intera situazione era permeata di una felicità trascendentale. Mentre Balarama era immerso in questa atmosfera felice, voleva però godere anche della compagnia delle gopi nell'acqua del fiume Yamuna. Perciò chiamò Yamuna, impersonificazione dell'omonimo fiume, figlia di Surya il dio del sole e sorella di Yama, deva della morte, affinchè si avvicinasse. Secondo altri racconti, più prosaici, Balarama aveva semplicemente sete dopo aver assaggiato del miele e voleva bere e bagnarsi nel vicino fiume.

Yamuna trascurò però l'ordine di Balarama, giudicandolo ubriaco del nettare varuni. Balarama si arrabbiò e subito solcò la terra vicino al fiume con il vomere che portava sempre con sè. Voleva punire Yamuna perché non aveva obbedito al suo ordine. Si rivolse infatti a Yamuna, dicendo che se non avesse ubbidito al suo ordine, le avrebbe insegnato una lezione: con l'aiuto del suo aratro, l'avrebbe costretta ad avvicinarsi deviando il suo corso. In questo modo il fiume Yamuna fu deviato e quando arrivò nelle vicinanze, Balarama godette il piacere di nuotare nella sua acqua insieme alle gopi; le scritture dicono che Balarama fece il bagno nello stesso modo in cui un elefante si diverte con i suoi molti elefanti.  Il fiume Yamuna è ancora composto da molti piccoli ruscelli dovuti al solco del vomere di Balarama e tutti questi rami del fiume Yamuna ancora glorificano l'onnipotenza diel Signore Balarama. 

Nella filosofia induista, e nello yoga, tutti i nostri pensieri e le nostre azioni lasciano una traccia nel nostro spirito, nella nostra coscienza ed anche nella conseguenza globale che essi hanno sulla realtà, ovvero nel karma, così come l'aratro lascia una traccia nel terreno. Le nostre azioni possono generare influenze positive, negative oppure non generare nessuna influenza sul karma. Le azioni dell'uomo virtuoso generano conseguenze positive per il mondo, ovvero buon karma, le azioni e i pensieri dell'uomo illuminato sulla via dello yoga, non generano nessun karma, si pongono su di un piano differente, non sono generate dal desiderio o dall'attaccamenteo nè per il bene nè per il piacere che ne deriva e sfuggono quindi alla legge universale. L'aratro simboleggia questo legame tra le azioni e le loro conseguenze.

Due meravigliosi e profondissimi sutra del quarto libro dell'opera di Patanjali ( vedi Yoga Sutra: corpo, spirito e karma, Ia parte IV libro ), sottolineano anche un altro aspetto, ricordando un collegamento metaforico tra il contadino che devia con l'aratro il corso dell'acqua e i mutamenti interni all'uomo:


YSIIII:2. jaty antara parinamah prakrity apurat
La trasformazione fisica genera l'evoluzione delle proprie potenzialità interiori.


YSIIII:3. nimittam aprayojakam prakritinam varana bhedastu tatah ksetrikavat
Tuttavia le causa esterne non sono sufficienti a muovere le tendenze naturali interne; si limitano a rimuovere gli ostacoli come avviene per l'irrigazione di un campo: il contadino rimuove gli ostacoli e l'acqua scorre liberamente per suo conto.

Si potrebbe parlare a lungo di questi due sutra, ma il significato ultimo credo sia chiaro ad ognuno di noi. Il risveglio dell'uomo e della sua energia interiore  è un processo sia fisico che spirituale. Lo yoga lascia segni indelebili nella nostra vita, nei nostri pensieri e nel nostro karma, così come l'aratro lascia il solco nella terra e permette all'energia di fluire verso la via dell'illuminazione. Le modificazioni del corpo sono propedeutiche a quelle dello spirito e rimuovono gli ostacoli che permetteranno all'energia interiore di giungere all'illuminazione.


Chissà se da oggi quando assumeremo halasana verso la fine della nostra sequenza, sapremo cogliere l'intimo collegamento che essa rappresenta con la parte più spirituale e interiore della nostra pratica.

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