Patanjali Yoga Sutra, Primo Libro: Il ricongiungimento [new]
gennaio 19, 2018di Marco Sebastiani
Questa nuova edizione dell’opera di Patanjali vuole rispondere ad una domanda: gli Yoga Sutra arrivano ancora al cuore dei praticanti? E ancora: Chi pratica yoga è interessato ad approfondire le radici spirituali antiche? E’ quindi possibile tradurre gli yoga sutra di Patanjali in modo che non solo siano immediatamente comprensibili ma che arrivino al cuore dei praticanti? Non lo so. Ma, qualora fosse possibile, chi pratica yoga sarebbe ancora interessato? Il commento sarà ridotto al minimo e volto solamente a dare una visione d'insieme per chi non conosca già l'opera oppure il contesto di riferimento. La traduzione sarà il più semplice e lineare possibile. Ripercorrendo infatti i vari filoni interpretativi delle varie scuole, mi sono reso conto che si oscilla tra interpretazioni molto vivide, ma che spesso hanno un significato distante dalla moderna pratica dello yoga, e traduzioni molto tecniche in cui il senso ultimo è rimandato a pagine e pagine di commentari. Lasciare molti termini in sanscrito è pratica diffusa, ma appesantisce molto la lettura, con una catena interminabile di definizioni. Inoltre il significato di tali termini è a volte dato per scontato, ma analizzando con cura, ogni autore ne ha in realtà una propria visione personale.
Sutra significa letteralmente "filo". Cercheremo di rendere in primo luogo il “filo” del discorso, restituendo organicità all’opera, dal primo all’ultimo verso, con un discorso coerente. Utilizzando una metafora di un’autore più illuminato di chi scrive, Jaggi Vasudev, potremmo dire che ogni sutra è però come una formula. Chiunque conosca l'alfabeto può scrivere "E = mc²". Ma dietro questa piccola scritta c'è un'enorme quantità di scienza che può essere compresa a vari livelli. Ogni formula, ogni sutra, può restituire risultati sensibilmente diversi e la grande bellezza degli Yoga Sutra è proprio questa, cambiando il contesto nel quale vengono tradotti o analizzati il risultato cambia leggermente. E non pensiate che un lavoro esegetico scrupoloso di comparazione sia quello che porta più lontano. Forse proprio le versioni più incoerenti e criptiche che ho avuto modo di studiare, erano quelle che analizzavano l’evoluzione delle interpretazioni e traduzioni dal sanscrito nel corso dei secoli. Spesso, a seconda della scuola di appartenenza dell’autore, il significato viene forzato per essere coerente con tale scuola e comparando e analizzando tutte queste versioni non aumenta la nostra capacità di comprensione ultima. Analogamente anche chi abbia cercato di ripercorrere filologicamente la storia dei principali termini utilizzati nell’opera ha spesso fallito poi nel ricostruire il significato originario, d’insieme.
Chi afferma infine che il significato degli Yoga Sutra sia chiaro e univoco spesso afferma anche che lui stesso sia il solo ad averlo afferrato. La mia posizione è molto distante da queste dichiarazioni e, come dicevo, non rivendico di aver compreso il significato ultimo e assoluto di un’opera tanto intima e profonda, ma almeno di aver potuto creare una interpretazione onesta, perché non viziata da uno scopo preesistente o da un fine, e fedele il più possibile al significato letterale dei termini sanscriti, e, ci sembra, organicamente coerente dall’inizio alla fine.
Patanjali descrive lo yoga compiendo un percorso non lineare, ma molto efficace: inizia nel primo libro definendo il termine stesso di “yoga” come la cessazione delle oscillazioni della mente e stabilendo l’importanza di questa condizione per il ricongiungimento con lo spirito assoluto. Prosegue poi indicando passo per passo il sentiero da compiere. Il secondo libro è senza dubbio la parte fondamentale dell’opera, il manuale per come arrivare all’illuminazione, alla consapevolezza, alla felicità o alla liberazione che dir si voglia. E' il manuale dello yoga. Il secondo libro è la luce che indica la strada da seguire. Nel terzo libro Patanjali spiega dove porta questa pratica, quali sono gli effetti di tutti questi sforzi fisici e mentali, gli effetti di questa pratica metodica e intensa. Infine l’autore ci mostra il quadro d'insieme o, meglio, ci spiega che la pratica non deve diventare fine a se stessa, ma all’ultimo va abbandonato anche l’attaccamento alla pratica e ai bellissimi doni che questa regala, in favore di una totale liberazione da ciò che è terreno e materiale, in favore di una pace completa ed assoluta.
Dovendo trattare ogni singolo aspetto dello yoga, era possibile scegliere vari percorsi alternativi. Gli Yoga Sutra hanno sicuramente il dono di essere molto concisi, in meno di duecento sutra viene affrontata ogni aspetto della natura dello yoga. Non necessariamente questo stesso percorso è raccomandabile a chi si accosta inizialmente allo yoga, anzi. Molti illuminati maestri consigliano infatti di iniziare proprio dall’esercizio fisico per poi approfondire in maniera spontanea ogni altro aspetto della pratica ed arrivare a comprendere il senso di tutto questo, nonché sperimentare i doni che ne conseguono. Dovendo però affrontare un discorso necessariamente speculativo, l’autore ha preferito gettare le basi delle definizioni che verranno utilizzate in seguito e definire lo scopo ultimo dello yoga. Patanjali procede in questo primo libro dall’universale verso il particolare, l’incipit è quindi molto elevato, viene data la definizione di yoga, il massimo livello raggiungibile con la pratica, viene definito il fine ultimo della pratica. Viene anche illustrato il perché sia necessario un certo tipo di pratica. Alcune affermazioni che in prima istanza sembrano leggermente dogmatiche, sono chiarite e approfondite nel seguito dell’opera.
Patanjali Yoga Sutra, Primo Libro
Samadhi Pada
Capitolo sul ricongiungimento
YSI:1. atha yoga anuasanam
Ora [illustreremo] la disciplina dello Yoga.
YSI:2. yoga citta vritthi nirodha
Lo Yoga consiste nel controllo delle oscillazioni della mente.
YSI:3. Tada drastuh svarupe ‘vasthanam
In questo modo lo yogin acquisisce la consapevolezza del proprio spirito.
YSI:4. Vrtti sarupyam itaratra
Nei momenti in cui non c’è consapevolezza, il soggetto si identifica con le oscillazioni della mente.
Quando la mente è in movimento, oscillando da un pensiero all’altro, è impossibile prendere coscienza della parte più elevata dell'io e l’uomo si identifica con i propri pensieri. Io sono la mente pensante, sono in quanto penso. Lo yoga ci permette, secondo Patanjali, di superare questa identificazione, di osservare la nostra mente acquietata e di capire quindi che ciò che la sta osservando è qualcosa che sta al di sopra di essa, ovvero il nostro spirito. In queste condizioni, come vedremo, sperimentiamo pace e benessere. Per alcuni queste affermazioni potrebbero sembrare artificiose. Soprattutto per chi non ha una pratica yoga consolidata negli anni. Questa ricerca è d'altronde comune in tutte le culture, in tutte le religioni e in tutte le pratiche spirituali, di tutti i tempi, tra i santi come tra la gente comune, tra i frati, i monaci e gli asceti come tra i semplici praticanti o gli allievi, con caratteristiche piuttosto simili. La base comune è il superamento della mente pensante e un contatto con qualcosa di più elevato rispetto al mondo dei sensi e della speculazione. Patanjali è però l'unico che darà la ricetta di come fare. Nei sutra successivi definirà come compiere questo viaggio. Non è un percorso facile, non basta sedersi a gambe incrociate, ma nemmeno impossibile. Il nostro autore lo articola in otto punti: Ashtanga (=otto membra) Yoga, riassumibili in principi etici e morali, come non rubare, non nuocere al prossimo, studiare se stessi, ed esercizi pratici, come le posizioni del corpo, la respirazione e la meditazione. Alcuni autori pongono l’attenzione sul termine atha, ovvero “adesso”, che apre l’opera, evidenziando come nell’affermazione “adesso lo yoga”, si sottolinei come sia necessario scegliere un momento specifico della propria vita, quando si sia pronti e preparati ad affrontare questo percorso.
YSI:5. vrttayah pancatayyah klistaklistah
Le oscillazioni della mente sono cinque e possono essere facili o difficili da arrestare.
YSI:6. pramana viparyaya vikalpa nidra smrtayah
Esse sono: retta conoscenza, falso sapere, immaginazione, sonno e memoria.
YSI:7. pratyaksa anumana agamah pramanani
La retta conoscenza ha tre fonti: percezione diretta, deduzione e testimonianza.
YSI:8. viparyayo mithya jnanam atadrupa pratistham
Il falso sapere è un costrutto che non corrisponde alla realtà.
YSI:9. sabda jnana anupati vastu sunyo vikalpah
L'immaginazione è un'attività mentale priva di fondamento.
YSI:10. abhava pratyaya alambana tamo vrttir nidra
Il sonno è l'oscillazione della mente fondata sull'assenza di ogni contenuto.
YSI:11. anu bhuta visaya asampramosah smrtih
La memoria è la rievocazione di precedenti esperienze.
Come dicevamo, il discorso inizia con un tono piuttosto elevato e con uno stile molto conciso. In sei sutra l’autore riassume tutte le possibili definizioni di oscillazioni della mente. Inizialmente potremmo chiederci, cosa ci distrae durante la pratica? Ciò che ci distrae sono esattamente le oscillazioni della mente, cioè il divagare incontrollato del pensiero, riconducibile a cinque categorie. La mente divaga verso pensieri su cose che abbiamo conosciuto o studiato, verso impegni e affari. Scappa verso nostre fantasticherie o congetture. Può altresì capitare, di addormentarci durante la meditazione, anche questo è un tipo di oscillazione della mente, di perdita del focus su quello che si sta facendo. In modo analogo può capitare di correre dietro ai nostri ricordi durante le asana. Patanjali non parla in verità solamente di cosa ci distrae dalla pratica, ma applicando questo principio alla nostra pratica è più facile estenderlo alla vita di tutti i giorni e a concetti un po' più elevati, legati al nostro essere nel mondo e alla percezione che abbiamo della realtà. Quando la mente oscilla, diviene padrona del nostro essere e ci restituisce una visione della realtà alterata, erronea, guidata, ad esempio, da passioni e desideri. Ma stiamo anticipando ciò che verrà trattato in seguito.
YSI:12. Abhyasa vairagy abhyam tannirodhah
L'arresto delle oscillazioni della mente si raggiunge con due mezzi: una pratica costante e il distacco dalle cose del mondo.
YSI:13. Tatra sthitau yatno’ bhyasah
La pratica è lo sforzo continuo e ripetuto di mantenere la mente imperturbabile e tranquilla.
YSI:14. Satu dirgha kala nairantarya satkarase vito dradha bhumih
La pratica diventa un fondamento stabile e solido quando è portata avanti per un periodo lungo ed ininterrotto e viene compiuta con profonda dedizione.
YSI:15. Drasta anusravika visaya vitrasnasya vasikara samjna vairagyam
Il primo stadio di distacco dalle cose del mondo si ottiene quando si superano i propri desideri materiali.
YSI:16. Tatparam purusa khyater guna vaitrisnyam
Il secondo e ultimo stadio di distacco dalle cose del mondo si ottiene grazie alla scoperta del proprio spirito.
Il ragionamento si dipana in modo molto lineare: è stato definito cosa porta la mente a divagare, poi viene illustrato come, per acquietare questi stimoli, ci siano due mezzi complementari tra loro. Il primo è la pratica costante dello yoga. Rispetto a quanto detto nel secondo sutra, cioè che lo yoga consiste nella cessazione delle oscillazioni della mente, viene aggiunto un ulteriore tassello, lo yoga e la pratica dello yoga coincidono, lo yoga è in realtà la pratica. Una pratica continua e ripetuta, condotta per anni, senza interruzioni e dedicandosi anima e corpo, come si suole dire. Chiunque abbia praticato per alcuni anni quotidianamente conosce la verità dietro queste parole e come la pratica si evolva durante questi periodi in un percorso che dura una vita intera o come si possa regredire rispetto alla capacità di mantenere la mente stabile e tranquilla, qualora si trascuri la pratica. Questi aspetti saranno approfonditi nel secondo libro. Il secondo mezzo per acquietare la mente, consiste nel cercare di non farsi colpire nell'intimo dagli accadimenti della vita, cercando di rimanerne distaccati. Non perdersi in mille desideri e passioni materiali è il primo passo del distacco, scoprire il mondo spirituale è il secondo e ultimo. Entrambi questi due mezzi saranno trattati con dovizia di particolari nel corso dell’opera.
YSI:17. Vitarka vicara ananda asmita anugamat samprajnatah
Questo processo di conoscenza inizialmente avviene in quattro passaggi: il pensiero analitico, l'intuizione, la beatitudine e la percezione dello spirito individuale.
YSI:18. Virama pratyayabhyasapurvah samskaraseso’nyah
Successivamente, grazie alla pratica continua, avviene grazie alla percezione profonda ed alle impressioni non manifeste.
I due sutra precedenti non sono di facile interpretazione dal sanscrito e generano traduzioni molto disparate. Ma, favorendo sempre un approccio semplice e lineare, possiamo dire che la pratica e il distacco dalle cose del mondo, adottati per acquietare le oscillazioni della mente, avvengono in una serie di passaggi successivi:
1) ragionando sul percorso da fare e su come si articola, come per esempio leggendo questo articolo; per intraprendere un percorso, ci sarà sempre un momento zero in cui prendere coscientemente questa decisione;
2) successivamente lasciandosi guidare dall’intuito è possibile, ad esempio, sentire intimamente che lo yoga ci da molto, tralasciando le ragioni per cui ciò accade;
3) poi arrivando a una profonda sensazione di benessere, che quindi non ha più bisogno né di ragioni né di intuito, ma solo di essere sperimentata;
4) questo percorso porta poi alla percezione stabile del proprio spirito interiore;
5) infine, il praticante sarà condotto all'abbandono del proprio spirito nel ricongiungimento con lo spirito che tutto pervade, dalle percezioni più profonde, come sarà approfondito in seguito.
Nessuno ci garantisce che arriveremo in fondo, non siamo tutti uguali, ma Patanjali ci indica la strada.
YSI:19. Bhava pratyayah videha prakriti layanam
Alcune persone, che vivono naturalmente oltre l'attaccamento alle cose del mondo, riescono a raggiungere questi più alti livelli di consapevolezza con maggiore facilità e rapidità.
YSI:20. Sraddha virya smrti samadhi prajnapurvaka itaresam
Altri raggiungeranno i livelli più alti solo grazie alla fiducia nel percorso, mediante lo sforzo nella pratica, con l'allenamento alla concentrazione e in virtù del perseguimento della conoscenza.
YSI:21. tivra samveganam asannah
L'obiettivo è raggiunto grazie ad una pratica intensa.
YSI:22. Mrdu madhya adhimatratva attato pi visesah
Coloro che perseguono la pratica con maggiore intensità e convinzione raccolgono i frutti più rapidamente, rispetto a quelli che lo fanno con minore intensità.
Come dicevamo, non siamo tutti uguali e per qualcuno è più semplice placare le oscillazioni della mente rispetto ad altri. E’ davvero molto difficile incontrare persone che vivono in modo spontaneo oltre gli aspetti materiali della vita, ma comunque l’autore ci dice che per questa tipologia di persone la via dello yoga sarà molto più semplice, in discesa come si suol dire. Per noi tutti invece sarà fondamentale praticare con intensità e convinzione. L'intensità deve essere accompagnata da un approccio sincero e convinto. La via dello yoga, come la intende Patanjali, non è per i curiosi o per gli eruditi che vogliono ampliare le proprie conoscenze, questi non arriveranno a nulla. La via dello yoga è per chi ne fa una ragione di vita, sapendo essere sincero e convinto, e tra questi, chi avrà maggiore volontà avrà risultati migliori e più rapidamente. L’autore non ha un approccio per così dire “morbido” alla pratica, non dice di fare solo quello che riesce, che poco è meglio di niente, dice di praticare il più possibile, con tenacia, intensità e dedizione quotidiane. Ora che siamo entrati nel vivo della trattazione possiamo aggiungere una ulteriore sfumatura alla traduzione del primo sutra, in origine reso con “Ora illustreremo la disciplina dello yoga”. Una traduzione più elaborata, ma meno lineare, potrebbe essere “La disciplina dello yoga, ora!”. Nel senso che non bisogna rimandare, attendere, tergiversare, ma applicarsi da questo momento, in modo totalizzante. L'autore sembra dire: “i sutra leggili anche in un secondo momento, ora pratica!” Ho sentito questa interpretazione da un maestro indiano e mi ha fatto sorridere, mi è piaciuta molto. L’idea che Patanjali inizi l’opera incoraggiando alla pratica e non a leggere i sutra è piuttosto affascinante e divertente.
I:23. Isvara pranidhana dva
L'obiettivo può essere ottenuto anche mediante la devozione allo spirito assoluto.
Patanjali ha indicato la strada della pratica intensa, ma aggiunge, come nota a margine, che è possibile anche la via dell'abbandono. Questa via è possibile solo a chi sia già arrivato in prossimità della fine del percorso, come ultimo passo. Già poco prima aveva avvisato che per alcuni spiriti eletti i livelli più elevati sono raggiunti con maggiore facilità. Per tutti gli altri, dopo avere praticato in modo estenuante, dopo avere intravisto, fallito, provato e riprovato, quando si lascia ogni sforzo si riesce. Arrendersi, lasciarsi andare, abbandonarsi come mezzo per arrivare. La pratica costante negli anni, intensa, può generare ossessione verso l'obiettivo e attaccamento alla pratica stessa. In questo momento bisogna ricorrere alla devozione e non aspettarsi più nulla, avendo però fiducia nell'assoluto. Anche chi è molto disciplinato e costante ogni tanto si deve lasciare andare per crescere. Questo concetto, raggiungere lo scopo quando non si ha più scopo, verrà ripreso dal Buddha, ma non spingiamoci troppo oltre.
I:24. Klesa karma vipaka asayaira aparamrstah purusa visesa isvarah
Lo spirito assoluto è il sommo Sé che non viene perturbato dalle vicende della vita, dalle azioni e dalle loro conseguenze.
I:25. Tatra niratisayam sarvajna bijam
Nello spirito assoluto quanto nell'uomo è in germe diviene infinito.
I:26. Purvesamapi guruh kala ananavacchedat
Essendo al di là di ogni limitazione temporale, è il Maestro dei Maestri.
Ecco infine il premio, l'obiettivo, l'elezione per chi è arrivato alla fine del sentiero: il ricongiungimento dello spirito individuale con lo spirito assoluto, cioè prendere coscienza che il barlume intravisto all'inizio dentro di sé fa parte dello spirito che tutto pervade, che era già in noi. Ciò che era in germe diviene infinito. Abbiamo tradotto, in coerenza con l'interpretazione dei sutra precedenti, 'ishvara' con 'spirito assoluto', minuscolo, ma, molti traducono, correttamente per il loro discorso, 'ishvara' con Dio, anche in relazione all’uso di questo termine nel testo classico della Bagavad Gita. Poi però diventa molto difficile fornire una definizione di Dio che rientri nei discorsi e nei parametri di Patanjali. Soprattutto per noi occidentali il concetto di Dio (padre, creatore) è qualcosa di molto differente da quello che Patanjali vuole dirci e significare.
La scoperta e la contemplazione dello spirito assoluto ha ispirato tutti i guru in tutti i tempi. Vedremo in seguito che questo approccio viene chiamato dai filosofi “non-dualista” ovvero Dio è in noi ed è della nostra sostanza e deve essere riscoperto.
I:27. Tasya vacakah pranavah
Lo spirito assoluto è il verbo
oppure: Il suo nome è il suono OM.
I:28. Taj japas tad artha bhavanam
Si deve ripetere e meditare sull'OM e il significato sarà chiaro.
I:29. Tatah pratyak cetana adhigamopya antaraya abhavasca
La ripetizione e la meditazione sull'OM comportano la scomparsa di tutti gli impedimenti e il risveglio dello spirito interiore.
Coerentemente con quanto fatto fin'ora, abbiamo offerto una prima traduzione del sutra 27 senza lasciare termini in sanscrito, in questo modo però il significato rimane forse meno evidente. Lo spirito assoluto è la forza creatrice universale, l'OM o il verbo che dir si voglia, il suono articolato primigenio che crea il mondo. Pronunciando l'OM ci mettiamo in contatto con questa forza, sentiamo risuonare in noi questo potere.
OM è l'inizio, la prima lettera dell'alfabeto sanscrito, ma forse per molti occidentali il collegamento più evocativo per capire a quale forza si faccia riferimento non è con Shiva Nataraja ma con il Vangelo secondo Giovanni, 1,1: in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Ovvero quanto detto anche dalla Genesi 1:3, Dio disse: «Sia luce!» E luce fu. E' la parola, il verbo, il suono primigenio creatore, che genera la realtà. In questa sede non si vuole percorrere queste strade, ma semplicemente far comprendere la potenza, la potenzialità e l'universalità di questi sutra.
OM è anche la parola creatrice intesa come vibrazione o forza pulsante che pervade l’universo. I moderni induisti creano un collegamento tra l’OM e la radiazione di fondo che gli scienziati studiano, eco del Big Bang. Quando si canta l’OM, la sillaba si compone di tre suoni: A, che viene fatto risuanare nell’addome, U, che sale e vibra nel petto e M, nasale, muta e con la bocca chiusa, che arriva a vibrare nella testa. Queste vibrazioni mettono in relazione con la vibrazione che tutto pervade di cui si parlava, che quasi duemila anni dopo Patanjali i seguaci del Tantra chiameranno spanda.
Cantare l'OM all'inizio e alla fine della propria pratica, cosi’ come si aprono e si chiudono i versi che compongono i Veda, ha un significato più profondo di quanto a volte si sospetti.
YSI:30. Vyadhi styana samsaya pramada alasya avirati bhrantidarsana alabdabhumikatva anavastthitatvani cittaviksepaste’ntarayah Gli ostacoli al progresso nella pratica sono: la malattia fisica, l'apatia, l'indecisione, la negligenza, la pigrizia, i desideri mondani, le supposizioni errate, la mancanza di progressi e la difficoltà a mantenere i progressi raggiunti.
YSI:31. Duhkha daurmanasya angamejayatva svasaprasvasa viksepasahabhuvah Questi ostacoli causano sofferenza, depressione, instabilità e irregolarità del respiro.
La prima volta che ho letto questi sutra del primo libro di Patanjali, sono rimasto sbalordito: sembrava parlare proprio a me. Ritrovare esperienze così personali in uno scritto dell'India antichissima, mi ha sempre emozionato e continua a farlo. Patanjali continua a descrivere cosa si intenda per ricongiungimento tra lo spirito individuale e lo spirito universale (samadhi), aggiungendo maggiori dettagli sulle modalità della pratica e sugli stati di coscienza e beatitudine che si verificano. L'autore sembra elencare esattamente tutti i motivi per i quali si salta un giorno di pratica o cosa accade nei giorni in cui manca l'intensità raccomandata. E' incredibile l'attualità di queste parole. Gli infortuni sono al primo posto, inflitti durante la pratica o meno, così come l'attenzione allo stato di salute generale. L'attenzione al proprio corpo, alla propria condizione è fondamentale, senza una buona salute è impossibile praticare. Al secondo posto viene l’apatia, ovvero la mancanza di stimoli, il non trovare motivi sufficienti. Al terzo posto l’indecisione, ovvero la mancanza di determinazione, il non sapere cosa fare e come orientarsi nella vita. Quindi, solamente al quarto, la negligenza, ovvero non fare qualcosa pur sapendo che questo andrà a nostro detrimento, ma non curarsi delle conseguenze. Di seguito la pigrizia, cioè l’indulgere nel troppo riposo. Viene ribadito quanto già affermato, ovvero che lo yoga è solo per chi ha valide motivazioni e ne fa un abito di vita. I desideri mondani, ovvero la socializzazione di bassa levatura, seguono a breve distanza, così come tutte le ragioni di attaccamento verso i risultati della propria pratica. E' normale che la corretta pratica faccia progredire costantemente, ma non dobbiamo trarre conclusioni affrettate o ossessionarci con i progressi raggiunti. Il vero praticante di yoga, seppure distaccato dai risultati della pratica, soffre e vacilla davanti agli ostacoli ai suoi progressi. Sembra apparentemente una contraddizione, ma ad una più attenta analisi non lo è. E' importante progredire, rendersi conto del progresso, ma non si deve fare del miglioramento lo scopo della pratica. Di contro, una pratica senza avere percezione di progressi è inutile, concetto che nei tempi moderni si tende molto a sfumare. Accettarsi ed accettare la propria pratica, qualunque essa sia, anche svogliata o inconcludente, sembra diventato l’unico traguardo. La soluzione, vedremo, sarà invece solamente una: praticare con intensità secondo il metodo dell’ashtanga yoga, ovvero con otto strumenti precisi, attraverso otto gradini. L’assenza di pratica o la pratica scorretta, sono per Patanjali causa di sofferenza, di oscillazioni della mente.
YSI:32. Tat pratisedha artham eka tattva abhyasah
Per prevenire questi problemi è necessario seguire con fermezza il metodo dello yoga.
YSI:33. Maitri karuna muditopeksanam sukha duhkha punyapunya visayanam bhavanatah citta prasadanam
Questo metodo consiste nel calmare la mente e nel dimostrare distacco da felicità e dolore, virtù e vizio, ma anche nel coltivare un atteggiamento di amicizia verso tutti e nel mostrare compassione con i deboli.
Ecco che Patanjali fornisce una prima ricetta per proseguire nella via dello yoga. Ci ha detto: in cosa consiste lo yoga, ovvero nell'arresto delle oscillazioni della mente e nel distacco dalle cose del mondo, in modo da poter ricongiungere lo spirito individuale con lo spirito assoluto; ha esposto in cosa consiste lo spirito assoluto; ci ha detto che serve una pratica intensa; adesso inizia a delineare in cosa consiste la pratica. Personalmente mi emoziona sentire parlare di sentimenti di amicizia verso il prossimo e compassione, in uno scritto risalente a 2500 anni fa. La compassione verso gli ignoranti ed i deboli sarà importante per interpretare nella giusta proporzione alcune affermazioni successive molto dure nei confronti delle persone di bassa levatura. Distacco non significa alienarsi dal mondo, chiudersi dentro una grotta, ma al distacco egli aggiunge l’amicizia verso il prossimo.
YSI:34. Pracchardana vidharanabhyam va pranasya
Inoltre questo metodo consiste nel controllo della respirazione: inspirazione, espirazione e ritenzione.
YSI:35. Visayavati va pravrttirutpanna manasasthitini bandhani
Inoltre nel concentrasi sull'insorgenza delle oscillazioni della mente.
YSI:36. Visoka va jyotismati
Inoltre nel percepire lo spirito, che è luce e gioia.
(lett. visoka=sereno, va=e inoltre, jyotismati=pieno di luce)
YSI:37. Vita-raga visayam va cittam
Inoltre nel trascendere l'attaccamento
Il respiro controlla la mente, si ritornerà su questo argomento nel secondo libro, il controllo della mente permette allo spirito di emergere e trascendere l'attaccamento accedendo alla beatitudine dello yoga. Contravvenendo a quanto fatto sin qui, si è fornita la traduzione letterale del sutra 36, perché spesso tradotto in modo molto differente. Si possono riempire pagine nel definire cosa possa intendere in questo passo Patanjali per attaccamento, ovvero raga, ma credo che questo concetto sia nell'immaginario di tutti; si parla di attaccamento a cose e persone, il concetto che diverrà uno dei tre veleni del buddismo: ignoranza, attaccamento/desiderio e odio. Raga come avidità, sensualità, passione e desiderio. Patanjali ribadisce quanto detto nel sutra I:12 dove affermava che la via dello yoga era l'arresto delle oscillazioni della mente e il non attaccamento, definito vairagya, ovvero proprio la liberazione dal raga.
YSI:38. Svapna nidra jnana alambanam va
Inoltre il metodo consiste nell'osservare la consapevolezza che sorge durante il sonno.
YSI:39. Yatha abhimata dhyanad va
Inoltre nel praticare secondo la maniera che più si addice a se stessi.
YSI:40. Paramanu paramamahattvanto asya vasikarah
In questo modo infine il praticante dominerà tutto, dal particolare all'universale.
In questi tre sutra Patanjali continua a dispensare riflessioni che ognuno di noi può ritrovare nella propria pratica. L'arresto delle oscillazioni della mente assomiglia allo stato che si verifica quando si è ancora svegli, ma si sta per prendere sonno, quella situazione di sospensione nella quale possiamo essere richiamati dalla mente verso i pensieri in qualsiasi momento, dal benché minimo rumore o distrazione, ma che può anche volgere al sonno. Osservare questo stato è utile a capire la condizione mentale propria della meditazione. Le interpretazioni esegetiche si dividono significativamente sul sutra 39, come, a dire il vero, su quasi tutti i sutra di questa sezione. Noi abbiamo interpretato abhimata con il significato di “come si desidera”, traducendo: "Inoltre nel praticare come più si addice a se stessi". Un cospicuo gruppo interpreta questo termine come “amore" o "attrazione” traducendo: “Inoltre meditando/praticando l'amore”, ma questa interpretazione sembra molto distante dal resto dell'opera. Come sempre la si riporta per offrire un confronto e per sottolineare che per loro stessa natura i sutra necessitano di una qualche interpretazione. Quindi attenzione: ognuno deve praticare come più gli piace e si addice alle proprie caratteristiche, certo, sempre con intensità e convinzione, ma gli ingredienti della ricetta che Patanjali rivelerà, possono, anzi devono, essere mescolati a proprio piacimento, non esiste un modo valido per tutti. Ci aveva già avvertiti che studiare se stessi è fondamentale, altrimenti non è possibile capire come si deve praticare. Qualcuno dovrà sfinirsi con la pratica fisica, altri dovranno rimanere immobili nella respirazione molto a lungo, per alcuni sarà l’impegno morale ad avere la predominanza, eccetera, eccetera, ad ognuno il suo. Lo sappiamo, i grandi maestri guidano ogni allievo verso la sua pratica personale e individuale e per ognuno hanno un percorso differente. Infine, ancora una volta, viene ribadito che, con la giusta pratica, il nostro spirito individuale potrà ricongiungersi con lo spirito universale, dominando ogni aspetto del sé.
YSI:41. Ksinavrtter abhijatasyeva maner grahitr grahana grahyesu tatstha tadanjanata samapattih
Quando vengono arrestate le oscillazioni della mente, questa diviene pura e riflette senza distorsione colui che percepisce, ciò che viene percepito e come viene percepito.
YSI:42. Tatra sabda artha jnana vikalpaih samkirna savitarha samapattih
Nella prima fase lo yogin è ancora incapace di discriminare tra vera conoscenza, conoscenza basata sulle parole e conoscenza fondata sul ragionamento o le percezioni dei sensi, che permangono nella mente mescolandosi tra loro.
YSI:43. Smrtiparisuddhau svarupa sunya eva arthamatra nirbhasa nirvitarka Nella seconda fase la mente è in grado di percepire la vera natura delle cose, senza contaminazione alcuna.
YSI:44. Etayaiva savicara nirvicara ca suksmavisaya vyakhyata
Nella terza fase, allo stesso modo, lo spirito individuale diverrà capace di percepire la realtà.
YSI:45. Suksma visayatvam calinga paryavasanam
Nella quarta fase sarà possibile osservare la realtà direttamente nella sua origine indifferenziata.
YSI:46 Ta eva sabijah samadhih
Queste quattro fasi intraprendono il ricongiungimento dello spirito individuale con quello universale con l'intervento della volontà.
YSI:47. Nirvicara vaisaradya adhyatma prasadah Quando si consegue la purezza suprema di questo stato, la natura dello spirito individuale diviene chiara.
Gli effetti della pratica sono progressivi. In una prima fase le percezioni che provengono dalla mente si confondono addirittura con le percezioni che arrivano dai sensi, si confondono pensiero e input provenienti dai sensi. Successivamente si riescono ad isolare questi due aspetti. Proseguendo ulteriormente nella via dello yoga la mente è ancora vigile e le percezioni che provengono dalla sua esclusione, ovvero che provengono dallo spirito, si mescolano con le percezioni che provengono da essa stessa, ma sarà comunque un grande progresso, il risveglio dello spirito. Nell'ultima fase la mente verrà esclusa e lo spirito diverrà il veicolo della realtà. Queste quattro fasi costituiscono il percorso del ricongiungimento tra spirito individuale ed universale, il samadhi che da il titolo al primo libro dei sutra. Per mettere in atto queste quattro fasi della pratica, interveniamo con la nostra volontà. In quasi tutti i testi la pratica o la meditazione in cui interviene la volontà vengono chiamate letteralmente “samadhi con seme”. L'espressione, di per se incomprensibile, diventa quasi un codice tecnico: personalmente non mi piace, e preferisco tradurla con “ricongiungimento allo spirito universale con l’intervento della volontà”. Come sempre si offre una finestra sulle traduzioni alternative molto diffuse per offrire la possibilità di raffronti. In questo stato, che si raggiunge a questo livello del percorso, conquistiamo l'immagine chiara di cosa sia lo spirito in noi. Per interpretare il termine adhyhatma come spirito del Sè, possiamo rifarci alla Bhagavad Gita, 8:3 "L'entità vivente indistruttibile e trascendente è chiamata Brahman, e la sua natura eterna è chiamata adhyātma, lo spirito individuale".
YSI:48. Rtambhara tatra prajna
In questa calma interiore, la consapevolezza diviene poi verità.
YSI:49. Sruta anumana prajnabhyam anyavisaya visesarthatvat
In quanto si consegue una conoscenza diretta della realtà, libera dall'utilizzo delle correnti del pensiero.
YSI:50. Taj-jah samskaro’nya samskara-pratibandhi
Le percezioni che si conseguono vanno al di là delle percezioni normali.
YSI:51. Taj-jah samskaro anya samskara pratibandhi Quando si trascendono le percezioni, il ricongiungimento dello spirito individuale con quello universale avviene senza volontà.
Gli effetti della pratica sulla mente e lo spirito proseguono in una nuova serie di fasi che possono essere raggruppate come ricongiungimento tra spirito individuale ed universale nel quale non c'è intervento della volontà, questa fase viene chiamata in quasi tutti i testi “samadhi senza seme”. Patanjali si riferisce ora agli stati più alti di illuminazione. Non è semplicissimo capire esattamente a quali fasi della pratica si faccia riferimento. Cercando di cogliere l'essenza del discorso, potremmo dire che subentra alla fine del percorso un livello di consapevolezza nel quale il ricongiungimento dello spirito individuale con lo spirito universale durante la pratica e durante la vita, non avverrà più con il nostro intervento volontario, ma spontaneamente. Un maestro mi disse una volta che, i primi tempi in cui riusciva a raggiungere il samadhi, lui aveva necessità di ore ed ore di pratica, poi, dopo molti anni, gli succedeva un meccanismo simile a quando ci distraiamo, si ritrovava in uno stato di estasi senza sapere come, se non rendendosene conto quando rientrava in se stesso. Credo Patanjali si riferisca ad un meccanismo di questo tipo.
Fiumi d'inchiostro sono stati spesi interrogandosi se il pensiero di Patanjali sia dualistico o non dualistico, ovvero se la divinità o lo spirito assoluto pervada il mondo e le persone oppure se sia un'entità differente. Generalmente prevale l'interpretazione dualistica, contrapponendo lo yoga di Patanjali all'Hata yoga tantrico che sarebbe invece puramente non dualistico. Non siamo d'accordo con questa visione. Patanjali indica chiaramente che lo spirito individuale sia della stessa sostanza dello spirito universale al quale infatti si ricongiunge. Il pensiero dualistico a cui siamo abituati è quello cristiano, per il quale uomo e Dio padre e creatore sono unità esattamente distinte e l'uomo al massimo della sua evoluzione può aspirare solamente a contemplare Dio. Il pensiero di Patanjali è molto lontano da questo tipo di dualismo e sarà poi ripreso, quasi due millenni dopo, dal pensiero Tantrico e mosso ancora più avanti sulla via del non dualismo. Per i testi tantrici non c'e' necessità neanche di una purificazione in quanto lo spirito assoluto è già presente nell'uomo così come deve essere. Parlerei di evoluzione storica del contesto tra il raja yoga di Patanjali e l'hata yoga tantrico e non di contrapposizione. Questa contrapposizione è sorta in realtà tra i sostenitori delle due scuole nell'India moderna, scuole che sostengono la maggior importanza della pratica individuale (hata yoga) rispetto agli aspetti sociali e religiosi (raja yoga), ma le sfumature sono molte, stiamo semplificando. Nel secondo libro Patanjali fornirà una descrizione della via e delle modalità che costituiscono il percorso dello yoga.
2 commenti
Buon articolo, di grande aiuto per chi è alle prime armi rendendo lo studio dei sutra meno ostico.
RispondiEliminaLa traduzione è meravigliosa, leggere questo sutra cosi tradotto con le ulteriori definizioni fa di te un persona da lodare! Quindi bravissimo!
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